“Arma” a doppio taglio, il caso Gaeta

Non se ne parla soltanto a livello locale, tra i carabinieri di tutta Italia, nel bene ma anche nel male, la questione “territoriale” è da sempre un argomento di discussione.

A comporla sono quei militari che vivono e lavorano da anni, spesso decenni, sul territorio e che, proprio per questo, lo conoscono quasi sempre meglio degli Ufficiali che soprassiedono ai Comandi locali e provinciali. Militari stanziali, talvolta imparentatisi sul territorio, così intrecciando tutta una serie di relazioni al di fuori del proprio servizio e che, simultaneamente, adempiono alla missione originaria dell’Arma: una forza di polizia dal volto umano, una famiglia. Militari che hanno giurato fedeltà allo Stato, che vorrebbero fare di più e che, invece, ancora più di frequente sono frenati da logiche note a pochi: ordini, così come è proprio di un corpo militare, a cui giovani, pochi, e meno giovani, tanti, quotidianamente obbediscono adempiendo al proprio dovere, spesso vedendo gli straordinari compensati con giorni di riposo. O con niente. E così anche ufficiali e sottufficiali a inizio carriera trasformati in silenziosi passacarte. Non di rado costretti a restare in silenzio di fronte a palesi abusi per non rischiare note di biasimo o, peggio, indesiderati trasferimenti da chi è più alto in grado. Frustrazioni a cui sottomettersi nel nome dell’obbedienza, talvolta arrivando fino al gesto estremo. Che succede dappertutto ma tra i carabinieri, denuncia il Consap, accade circa 4 volte più spesso rispetto alla media italiana. 


Giorgio Carta
Giorgio Carta

Un fenomeno che Giorgio Carta, avvocato specializzato in Diritto militare e per le Forze di Polizia, già Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri in congedo, legale del maresciallo dei carabinieri Saverio Masi che è testimone nel processo Trattativa Stato – Mafia ed autore di una denuncia su asseriti ostacoli istituzionali frapposti alla cattura dei boss della Mafia, già aveva denunciato in due articoli pubblicati su GrNet.it nel 2013 dal significativo titolo “La fine dell’Arma”: “Oggi il processo sulla trattativa Stato – Mafia (ma sarebbe più appropriato chiamarla trattativa Arma – Mafia) e tutti i correlati giudizi a carico degli ufficiali dei carabinieri accusati di aver favorito la latitanza dei boss di Cosa Nostra, mi fanno sorgere il sospetto che quel cieco accanimento delle scale gerarchiche contro cui mi ero battuto forse aveva una precisa logica ed uno scopo inconfessabile: generare la cieca ed incondizionata obbedienza dei militari ai superiori più che alla legge, nonché allevare carabinieri che temessero i propri comandanti più che i delinquenti. Quante volte, del resto, ho sentito carabinieri grandi e forti confessarmi di avere paura più in caserma che fuori“.

Ipotizzando in un secondo articolo: “I regolamenti militari, a differenza delle altre normative di settore, conferiscono un potere gerarchico e disciplinare eccessivo ed ormai anacronistico, specie quando viene incautamente attribuito a persone immature, insicure e cialtrone che, tramite esso, possono rendere infelici i sottoposti e le loro famiglieIo non condanno l’istituzione in sé (ci mancherebbe!), ma i singoli che la disonorano con i loro comportamenti indecorosi. Tantomeno denigro la categoria in sé degli ufficiali, composta da persone spesso in gamba che magari non fanno notizia, né peraltro assumeranno mai ruoli di vertice. Del resto, il malessere dell’Arma è determinato sovente anche dagli abusi di sottufficiali o di parigrado compiacenti con i superiori, quindi non è una questione di ruolo e di grado, come spesso qualcuno intende”.

La Tenenza Carabinieri Gaeta
La Tenenza Carabinieri Gaeta

Una situazione descritta nel 2013 e che allora generò migliaia di condivisioni, dibattiti, e che appare ancora attuale. Ad esempio applicata a quella che era la Compagnia dei carabinieri di Gaeta, all’epoca responsabile anche sui territori di Fondi, Sperlonga, Lenola, Campodimele e Itri, e che, in un più ampio quadro di riorganizzazione dell’Arma, dal 2014 è stata ridotta a Tenenza e passata sotto il comando della Compagnia di Formia. Una spiegazione logica se vale il detto noto tra gli addetti ai lavori secondo cui l’Arma “si fa il trucco”, cambia volto continuamente per adattarsi alle nuove esigenze. Ancora più attuale rapportato a uno scenario criminale in continua evoluzione.

O, forse, una decisione figlia di scelte dovute a situazioni che nel corso degli anni sarebbero sfuggite di mano, si sarebbero incancrenite e che ora, anche attraverso delicati trasferimenti, l’Arma prova a traghettare verso una situazione di decoro tutto considerato che, tradizionalmente, i panni sporchi si lavano in casa. Salvo nel frattempo abbiano acquisito una rilevanza pubblica e, contemporaneamente, non siano divenuti noti anche ad altri che, seguendo una legittima scelta editoriale su cui non possiamo entrare nel merito, hanno optato per cestinarli.

Noi no.

 

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