Ucciso di botte a Viterbo: il 42enne massacrato era cresciuto a Gaeta

Un omicidio brutale riverberato dalla Tuscia alla provincia di Latina. Quello di Daniele Barchi, rinvenuto cadavere martedì all’interno della propria abitazione nel cuore di Viterbo. Ucciso a calci e pugni, dopo aver per di più subìto violenze del tutto simili a torture, dicono i primi riscontri investigativi.

Nativo di Novi Velia, in provincia di Salerno, secondo quanto emerso il 42enne Barchi era cresciuto a Gaeta, dove ancora risiedono gli anziani genitori. Un’esistenza travagliata, la sua. Disoccupato e da tempo costretto a una pesante situazione di indigenza che affrontava con estrema dignità, viveva in un modesto monolocale. Da circa un mese era stato preso in carico dal Centro di salute mentale. Poteva essere un modo per uscire dalle sabbie mobili della difficoltà, o almeno per trovare un minimo di conforto. Se non fosse stato assassinato.


Un delitto scoperto martedì sera, presumibilmente avvenuto il fine settimana precedente, e per cui è stato arrestato a stretto giro un 31enne suo conoscente, Stefano Pavani. Lui, il sospettato numero uno, e non solo perché sarebbe stato l’ultima persona ad avere contatti telefonici con la vittima. Gli avrebbe “cercato l’anima a forza di botte”, per dirla alla De André, che degli ultimi è stato amorevole cantore. Calci, pugni, violenti schiaffi. Non sarebbero mancate nemmeno delle ferite da arma da taglio, sul corpo martoriato del 42enne. Con Pavani che però, pur facendo scena muta davanti al gip, dal carcere continua a professarsi innocente. A suo carico secondo la Questura ci sarebbero comunque “gravi indizi di colpevolezza”.