La palestra, i lavori, il sequestro. La parola ai Petronzio: «Non siamo truffatori»

 «Il sequestro c’è stato, ma non siamo dei truffatori. E i soldi dovuti sono molti meno di quanto scritto, oltre che oggetto di una contestazione». Parola di Costantino Petronzio, referente della palestra di Formia destinataria martedì di un sequestro conservativo riguardante le attrezzature usate quotidianamente dagli iscritti. Dai pesi ai bilancieri, tutto finito al centro di un provvedimento del Tribunale di Cassino legato alle istanze del titolare di una ditta edile, la Cav srl, impegnata in un delicato testa a testa giudiziario proprio con il 61enne Petronzio e dei suoi congiunti. La moglie, la figlia e il genero.


La genesi e gli strascichi giudiziari

Sullo sfondo, c’è un’intricata vicenda iniziata nel 2015, in seguito ai lavori per la realizzazione della palestra, allestita all’interno di alcuni locali in via Rio Fresco: un intervento importante, per un corrispettivo nell’ordine dei 130mila euro. Ed è sui soldi che è nata la querelle poi sfociata in aula, a partire da un processo, in corso, per Petronzio e i tre familiari, accusati di truffa in concorso, aggravata dall’aver cagionato danni economici rilevanti alla società edile. Da dove hanno lamentato mancati pagamenti per oltre 90mila euro, grazie ad un “gioco di società”, tutte riconducibili ai medesimi soggetti, Petronzio e famiglia: una società a firmare il contratto d’appalto con la Cav srl, un’altra a gestire effettivamente i locali oggetto del restyling a tanti zeri. Mai pagato, almeno non del tutto, stando a quanto finito davanti ai giudici. Per una truffa attuata grazie a una sorta di scaricabarile giuridico, secondo le accuse. Tutt’altro, a detta degli interessati. Per Petronzio e i suoi, le cose starebbero in maniera differente. Lo ha sostenuto il capofamiglia Costantino alla redazione di h24notizie, lo ha ribadito la figlia Lidia nei giorni scorsi. Mettendolo nero su bianco nel verbale relativo al sequestro preventivo eseguito dalle Fiamme Gialle formiane, giunte in palestra dietro delega del tribunale ciociaro per mettere “in naftalina” le attrezzature, indicate come unici beni su cui il titolare della Cav in caso di placet dei giudici potrebbe rivalersi per far fronte al credito vantato.

La difesa: “Buona fede”

La figlia del 61enne in merito alle contestazioni scaturite nel processo penale e, quindi, nel recente sequestro conservativo, ha dichiarato ai finanzieri che «non si è trattata di una manovra fraudolenta ma fatta in buona fede». A detta dei Petronzio, ci sarebbe un grosso equivoco di base. Per questa storia, come accennato, loro e i rispettivi coniugi sono finiti a processo anche con l’accusa di aver “giocato” con le due società di famiglia, in modo da eludere più agevolmente le istanze della ditta edile con cui la Iron Man, questo il nome di una delle due società finite sotto i riflettori, aveva firmato nell’agosto del 2015 il contratto per i lavori al centro della querelle. Eppure gli accusati respingono l’addebito: «Non è vero che i lavori sono stati effettuati in locali non intestati alla società Iron Man inducendo in errore in maniera fraudolenta la Cav, in quanto in data 19 agosto 2015 veniva registrata la cessione di contratto tra la Livin e l’Iron Man», ha messo a verbale Lidia Petronzio, socio amministratore della Livin, il giorno del sequestro di pesi e quant’altro. Sostenendo oltretutto che la Iron Man, società riferibile alla madre e da tempo in liquidazione, avrebbe regolarmente corrisposto buona parte della somma pattuita con la ditta edile, e quindi dei 130mila euro iniziali.

La palestra dà i numeri. Con coup de théatre 

A riguardo, vengono citate quattro fatture del 2015, per un importo pari a 60mila euro (67mila euro circa comprendendo l’Iva), e si parla di un ulteriore assegno da 20mila euro incassato ma non fatturato, a detta della verbalizzante. La quale, inoltre, ha sostenuto come la quasi totalità dei 40mila euro rimanenti fosse stata suddivisa in ulteriori due assegni: «Il legale rappresentante della Iron Man aveva chiesto di non metterli all’incasso visto che era in atto l’approvazione di una Start up di € 50.000 (sic). La Cav non tenne per niente conto della richiesta mandando in incasso uno dei due assegni, generando il protesto della società e di conseguenza la decadenza del diritto per la Star up». Di più. A sentire i Petronzio, ci sarebbe addirittura un ulteriore colpo di scena. In mano hanno una perizia di parte datata novembre 2015 e fatta da un’altra ditta di costruzioni: «Era stato accertato che la Cav ha effettuato lavori non a regola d’arte arrecando un danno di circa 50mila euro». Coup de théatre: i danneggiati sarebbero loro, dicono.

In attesa dei giudici, muscoli… a riposo forzato

Da una parte, dunque, un imprenditore, quello della Cav srl, che si ritiene raggirato senza mezzi termini; dall’altra chi, pur a processo per truffa, ritiene di essere stato accusato ingiustamente. Un aspro testa a testa che proseguirà in tribunale, tanto sul versante penale quanto su quello civile (a bussare da tempo a danni, ritenuti a dir poco ingenti, il titolare della ditta edile). La parola ai giudici. Mentre al momento restano a muscoli dormienti gli iscritti alla palestra in questione, la ‘New Life’. Il sequestro conservativo disposto dal tribunale sulle attrezzature ha infatti reso impossibile il prosieguo dell’attività della palestra: all’atto dell’applicazione della misura cautelare, le Fiamme Gialle hanno applicato ai beni sequestrati anche il divieto d’uso. «Che non era specificato dal giudice. Quello che preme oggi è far sì che la palestra non debba rimanere chiusa», dice Costantino Petronzio. Annunciando – al di là di una prossima istanza volta al dissequestro – che dalla palestra hanno già presentato una richiesta atta almeno all’utilizzo, nel frattempo, dei beni in questione.