Fondi: stipendiato, ma non lavorava grazie a una “scusa”. Licenziamento giusto

Nessun abuso o discriminazione da parte dell’allora datore di lavoro. Nonostante gli investigatori privati assoldati per seguirlo: quel dipendente era stato mandato via giustamente. Licenziato per un effettivo, grave comportamento, tale da minare alle fondamenta la fiducia: invece di convivere ed assistere in maniera continuata l’anziana madre affetta da disabilità, motivo per cui per quasi un anno era ricorso al congedo straordinario garantito dalla legge, l’interessato andava a quanto pare in giro per questioni personali, dividendosi fra una passeggiata e una capatina al supermercato. Impegnato in attività ritenute incompatibili con quella da prestare in sostituzione di quella lavorativa, e messe in atto vedendosi comunque accreditato mese per mese stipendio pieno, erogato nell’occasione dall’Inps.

Al centro della questione, discussa nei giorni scorsi dinanzi la sezione Lavoro del Tribunale di Latina, l’annosa controversia tra una ditta di Fondi, la Imballaggi D’Aniello, difesa dall’avvocato Riccardi, e un ex dipendente del posto, assistito dall’avvocato Salvatore Di Fazio: il giudice Valentina Avarello ha avallato la linea della società, respingendo il ricorso del lavoratore, deciso a far riconoscere l’illegittimità dell’accaduto e ad essere reintegrato. Dopo un’iniziale riserva, il Tribunale ha emesso un’ordinanza dando ragione alla D’Aniello, sottolineando in particolare come fosse “venuto meno l’elemento fiduciario del rapporto”.


Il dipendente era stato messo alla porta nell’aprile del 2014, sulla scorta di alcuni accertamenti affidati dalla “D’Aniello” a un’agenzia investigativa. Servizi di appostamento e pedinamenti per dieci giorni, in prossimità del Natale 2013, che avevano attestato come l’uomo nel periodo attenzionato non avesse mai messo piede in casa dell’anziana madre disabile. Contravvenendo in questo modo, per le accuse, ai doveri imposti dal congedo lavorativo straordinario che lo aveva tenuto lontano dall’azienda, remunerato, per la bellezza di 323 giorni consecutivi proprio per assistere la genitrice. Il licenziato si era opposto all’addio forzato all’azienda sostenendo in particolare la non proporzionalità della sanzione disciplinare, l’abuso nell’utilizzo degli investigatori privati, la presunta natura “discriminatoria e ritorsiva” del provvedimento adottato ed anche l’insussistenza del fatto contestato. Istanze rispedite in toto al mittente, contestualmente condannato a rimborsare alla ditta le spese di lite.