I dubbi della difesa sull’arresto di Carmelo Tripodo

Carmelo Tripodo

Carmelo Tripodo è tornato in cella. Col “giallo”. Giovedì pomeriggio, a pochi giorni dalla pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Damasco 2, è finito nuovamente in manette, per poi essere accompagnato nella casa circondariale di via Aspromonte.

I carabinieri della Tenenza hanno infatti dato esecuzione ad un ordine di carcerazione giunto dalla Procura generale presso la Corte di Appello di Roma: a carico del 57enne fondano, proprio in relazione alla Damasco, in cui è stato riconosciuto colpevole di associazione di stampo mafioso e detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, un residuo di pena pari a 4 anni, 6 mesi e 11 giorni. Per una misura cautelare in qualche modo inaspettata. Almeno per questioni di tempistiche. Tanto che l’avvocato Domenico Oropallo si è prontamente attivato per chiamare la Corte di Appello a rendere conto dell’iter che ha portato il suo assistito nel carcere di Latina. A breve, visti i dubbi di un cortocircuito burocratico, la proposta di incidente di esecuzione: “Riteniamo che non potesse essere arrestato”, afferma il difensore.


Perché? Si è proceduto prima che la stessa Corte di Appello mettesse mano alla rideterminazione della pena di 10 anni e 8 mesi inflitta a Tripodo, così come disposto dalla Cassazione con la sentenza dello scorso settembre: in quell’occasione gli ermellini avevano respinto il ricorso del fondano relativamente alla condanna per mafia, ma appunto stabilito che la pena a suo carico, peraltro già per buona parte scontata, dovesse essere comunque ricalcolata. Rideterminazione appena “anticipata” dall’ufficio esecuzioni penali della Corte di Appello con l’ordine di carcerazione che ha portato al nuovo, contestato arresto.