Damasco 2, una sentenza di 78 pagine: a Fondi c’era la mafia

Settantotto pagine. Una sentenza insolitamente lunga e complessa quella con cui la Cassazione ha motivato Damasco 2, spiegando perché a settembre sono state confermate le condanne di alcuni dei principali imputati e perché ne sono state annullate altre, ma soprattutto perché è stata definitivamente ritenuta valida la tesi che a Fondi c’era la mafia e perché quella stessa tesi non ha retto per Riccardo Izzi, l’ex politico ritenuto l’anello di congiunzione tra l’organizzazione criminale e il Palazzo.

L’associazione mafiosa costituita nella Piana era impegnata sul fronte delle estorsioni, dell’usura, del traffico di droga, delle armi, ma avrebbe mostrato il suo vero volto, quello della Piovra, condizionando tanto il Comune quanto il Mercato ortofrutticolo, imponendosi negli appalti e nei servizi pubblici nel settore delle pulizie, dei trasporti, del “caro estinto”, e del commercio di frutta e verdura al Mof. I giudici, nel rendere definitive le condanne per mafia dei fratelli Antonino Venanzio e Carmelo Giovanni Tripodo, e del cognato di quest’ultimo, Aldo Trani, hanno così specificato che i connotati mafiosi dell’associazione criminale sono emersi dall’analisi dei singoli elementi analizzati nel processo che, seppure valutati criticamente, hanno fatto ritenere ragionevolmente fondata quella che era un’ipotesi, e nel condizionamento dei testimoni, che in fase di indagini avevano dichiarato una cosa e in aula un’altra.


Tutto da dimostrare invece, tanto che la sentenza per loro sul punto è stata annullata e rinviata in appello, che anche i presunti “soldati” Antonio Schiappa e Vincenzo Bianchò, oltre ad essere degli spacciatori di droga, fossero mafiosi. Stessa convinzione dei giudici per l’ex assessore Riccardo Izzi, in secondo grado condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, con argomenti “palesemente generici, ovvero di significato incerto, per potersene trarre una capacità di dimostrare tale stabile dedizione al servizio del gruppo criminale”. E anche per lui processo d’appello da rifare. Infine, da ridiscutere le confische dei patrimoni, non essendo state ritenute convincenti dagli ermellini le motivazioni della Corte d’Appello di Roma.