VIAGGIO A FONTEM: IL DIARIO DEI VOLONTARI DI CORI

Sono tornati i quattro coresi che hanno prestato servizio di volontariato presso l’ospedale Mary Health of Africa di Fontem, in Camerun.

La dottoressa Giovanna Marafini e i giovanissimi studenti universitari Dario Bianchi, Ludovica Carucci e Nicoletta Izzo erano partiti ad inizio agosto per contribuire alla realizzazione di uno dei tanti progetti a sostegno di questo centro specializzato fondato nei primi anni ’60 da Chiara Lubich e dal suo Movimento dei Focolarini, per debellare la malattia del sonno, causa di un’elevatissima mortalità infantile che rischiava di estinguere la tribù dei Bangwa.
Atterrati a Douala hanno subito respirato il caldo afoso della giungla e dopo un avventuroso viaggio per le stradine sterrate a bordo di una jeep fatiscente sono arrivati in un grande villaggio immerso nella foresta tropicale, tra piantagioni interrotte solo dai tetti in lamiera delle casette in mattoni e in fango sparse qua e là e al quale si accede da una lunga discesa in terra battuta, trasformata in un grande mercato all’aperto dove si vende di tutto a poche monete.


Come raccontano nel loro diario di bordo, al di là delle specializzazioni professionali, a Fontem è importante essere pronti ad aiutare ovunque ce ne sia bisogno, in un ambiente ostile per la mancanza delle necessarie attrezzature ed infrastrutture. Ecco quindi che se la dottoressa Marafini ha prestato le sue preziose cure mediche in tutti i reparti della struttura, i tre giovani si sono resi utili in pediatria accudendo i tanti bambini portati ogni giorno come zaini dietro le spalle da ragazze madri. Per alcuni di loro però spesso è troppo tardi, perché arrivano in fin di vita, dopo aver inutilmente sperimentato le stregonerie locali. La cultura tradizionale in queste zone interne, infatti, è ancora intatta, pure da questo punto di vista, anche se ciò che colpisce maggiormente poi è il calore della gente e il senso dell’ospitalità che si concretizza nel condividere quel poco di cui a fatica si dispone. È una realtà che si scopre giorno per giorno, quando si fa visita ad una famiglia e si divide con essa un pasto, se ne ascoltano le storie, si soffre per la morte di un familiare o si gioisce per la nascita di un bimbo o per un matrimonio.

“Alla fine – scrivono i volontari – ci si rende conto che questa esperienza ha fatto più bene a noi di quanto noi ne abbiamo potuto fare agli ospiti dell’ospedale. Con dignità queste persone affrontano quotidianamente la loro triste condizione, consapevoli dell’esistenza di quel mondo migliore che sarebbero disposte ad offrire ai loro figli anche a costo di rinunciare alla loro genitorialità. Ci hanno aperto gli occhi su una realtà sconosciuta e distante aiutandoci ad apprezzare le tante cose che abbiamo e alle quali non diamo mai il giusto valore”.

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