INCHIESTA SUI RIFIUTI FERROSI AL PORTO DI GAETA, LE INDAGINI PORTANO IN SICILIA

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*I rifiuti sequestrati a Gaeta*

Sarà la Direzione Distrettuale Antimafia a occuparsi dei rifiuti ferrosi sequestrati a metà dicembre al porto di Gaeta. La decisione del sostituto procuratore Eleonora Tortora è attesa a brevissimo ma gli esami eseguiti dall’Arpa e depositati lunedì hanno rilevano quantità di olii e combustibili superiori al livello massimo consentito nell’ambito dell’Unione Europea da cui la contestazione per traffico internazionale di rifiuti speciali, reato di competenza della Dda.

L’indagine era stata avviata dall’Autorità delle Dogane in seguito alla segnalazione di irregolarità nelle dichiarazioni ai fini fiscali effettuate da alcuni degli autotrasportatori impiegati per il trasporto ovvero una richiesta di Delivered Duty Paid (clicca il link). Duemilattocento le tonnellate di rifiuti ferrosi finiti sotto sequestro a dicembre e giusto oggi si sono conclusi gli interrogatori ai titolari delle sei ditte, cinque di Giugliano in Campania, una tra Cisterna di Latina e Aprilia, che hanno conferito al porto di Gaeta in vista del trasporto via mare verso la Turchia, in una fonderia di Smirne.


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*I rifiuti sequestrati a Gaeta*

Un primo carico che doveva essere di cinquemila tonnellate ma che, si è appurato, non costituisce l’unico trasporto: soltanto una piccola parte di un’attività che nei prossimi mesi avrebbe visto viaggiare alla volta della penisola anatolica almeno venti navi per un valore complessivo stimato in circa venticinque milioni di euro, 250 euro a tonnellata.

L’inchiesta ha inoltre appurato come l’intera operazione è riconducibile alla Eri Metal Scrap, società azionaria con sede a Malta per cui la Procura di Latina ha inoltrato rogatoria internazionale al fine di comprenderne la reale proprietà. Risposte ufficiali ancora non sarebbero pervenute ma è un fatto che per il primo trasporto già tutto era stato saldato: 130mila euro al Porto di Gaeta, 50mila euro circa per le attività navali. Senza dimenticare che una volta imbarcato, e prima di arrivare in Turchia, il carico di ferro sarebbe stato acquisito da una società inglese e una svizzera secondo una triangolazione commerciale che gli stessi inquirenti hanno giudicato anomala.

*Una veduta del porto di Augusta*
*Una veduta del porto di Augusta*

Quello che però aggiunge mistero e aumenta gli interrogativi sulla vicenda gaetana offrendo collegamenti che chiedono risposte è quanto accaduto in un altro scenario: il porto di Augusta in Sicilia. Il 24 maggio del 2012, infatti, la locale Capitaneria effettua un sequestro preventivo di circa 3000 tonnellate di materiale. Si tratta ancora una volta di rottami di ferro. I rifiuti appartengono a una società ragusana ma, come per Gaeta, sono destinati in Turchia, a Nemrut Bay. Quando la Capitaneria interviene, il materiale risulta già essere stato imbarcato sulla Katja, una nave battente bandiera Antigua e Barbuda, uno stato caraibico che l’OCSE ha compreso nella lista nera dei paradisi fiscali per l’assoluta mancanza di trasparenza nelle transazioni economiche e per la mancata cooperazione nella lotta al riciclaggio del denaro sporco. Anche in questo caso, da analisi della locale Arpa, i materiali ferrosi non risultano conformi alla normativa comunitaria e nazionale. Ma particolare più significativo, alcuni dei nomi comparsi nella vicenda siciliana, riemergono in quella gaetana.

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*Il porto di Gaeta*

Tornando nel Golfo, all’attenzione degli investigatori, e oggetto principale delle audizioni svolte nelle ultime settimane, in particolare sono finite le bolle di accompagno del materiale, immediatamente finite sotto sequestro. Proprio in quest’ambito è stato inoltre ascoltato Nicola Di Sarno ovvero il titolare della Interport (errata corrige), la società spedizioniera che aveva affittato dall’Autorità Portuale parte della Banchina Cicconardi dove il materiale era stato ammassato in attesa della partenza per la Turchia. E che ha inoltre curato tutte gli adempimenti burocratici necessari al trasporto.

Un traffico, quello del rifiuti ferrosi, che al di là della vicenda in esame, resta molto redditizio e spesso si è prestato a vere e proprie truffe ai danni dello Stato. Valga ad esempio quanto scoprirono i finanzieri della Compagnia di Frosinone nel febbraio del 2011, nell’ambito di un’operazione denominata “Vulcano” ovvero una maxi evasione fiscale curata da un gruppo talmente strutturato da assurgere a vera e propria associazione a delinquere per cui furono arresta cinque persone: tre originarie della provincia di Latina residenti a Sezze e Fondi e due di Roma. Oltre 140 milioni di euro la macroscopica frode fiscale. In quel caso il materiale ferroso (fino a 300.000 tonnellate l’anno), anche di dubbia provenienza, veniva avviato verso fonderie del nord Italia. Ad accompagnarlo fatture false emesse  da società fittizie che addirittura intestavano i documenti a nominativi presi a caso dall’elenco telefonico, tra cui anche persone decedute.

 

***ARTICOLO CORRELATO*** (Gaeta porto, sequestrate 2800 tonnellate di materiale ferroso in partenza per la Turchia – 19 dicembre 2012 -)

***ARTICOLO CORRELATO*** (Il sequestro di rifiuti ferrosi nel porto di Gaeta – 4 gennaio -)

***ARTICOLO CORRELATO*** (Sequestro alla Banchina Cicconardi del porto di Gaeta, il giudice prende tempo – 5 gennaio 2013 -)