Astice e Petrus, pene ridotte dalla Corte d’Appello

Il carcere di Latina

Pene ridotte in appello agli imputati nel processo “Astice e Petrus”, incentrato su droga e cibi prelibati fatti entrare nel carcere di Latina ricorrendo alla corruzione.

In primo grado il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Giorgia Castriota, aveva emesso condanne per un secolo di carcere a carico di 25 persone.


Una sentenza impugnata da 22 imputati, difesi, tra gli altri, dagli avvocati Angelo e Oreste Palmieri, Giancarlo Vitelli, Giuseppe Lauretti Maria Antonietta Cestra, Gaetano Marino, Alessia Vita, Giammarco Conca e Sandro Marcheselli.

La Corte d’Appello di Roma, accogliendo le richieste di concordato, in pratica il patteggiamento possibile nel secondo grado di giudizio, ha ridotto a 6 anni di reclusione la pena per Riccardo Petrillone, a 5 anni per Simone Petrillone, a 4 anni e 2 mesi per Salvatore Di Girolamo, a 2 anni, 9 mesi e 10 giorni per Angelo Di Girolamo e a 3 anni, 7 mesi e 20 giorni per l’agente di polizia penitenziaria Gianni Tramentozzi.

Ridotta poi la pena a 2 anni e 8 mesi per il fondano Massimiliano Del Vecchio, Gennaro Amato, di Cisterna, Antonio Di Noia, anche lui di Cisterna, Angelo e Salvatore Travali, a 5 anni per Angelo Petrillone, a un anno e mezzo per Andrea Lazzaro, e a un anno, 6 mesi e 20 giorni per Francesco Falcone.

Concesso a Stefano Venditti il beneficio della non menzione della condanna.

Confermate invece integralmente le condanne per Adriatik Deda, Mario Braganti, Gioacchino Iazzetta, Nicoletta Torri, Martina Giacomelli, Marco Quattrociocchi, Michael Consoli ed Endri Collaku.

Nel processo sono confluite due diverse indagini portate avanti dai carabinieri e sono state formulate le accuse di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, truffa aggravata, ricettazione, spaccio di droga e porto illegale di armi.

Gli investigatori, una volta scattati 34 arresti, precisarono che gli allora indagati erano riusciti persino a far entrare dell’astice con cui banchettare all’interno della casa circondariale di via Aspromonte, dove era stato messo a punto un sistema che stava consentendo ai capi delle organizzazioni criminali locali di continuare a dettare legge ai loro soldati ancora in libertà e di organizzare altri gruppi per azioni malavitose future.

Un’inchiesta incentrata su due organizzazioni, una esterna al carcere, che si dedicava allo spaccio di sostanze stupefacenti a Latina, Pontinia e nei vicini centri dei Lepini, e una interna.

I carabinieri, nel corso di due anni di indagini, scoprirono inoltre che un ispettore e un assistente capo della polizia penitenziaria, uno in cambio di denaro e l’altro soprattutto di cocaina, facevano entrare nella casa circondariale sostanze stupefacenti, cibi costosi, favorivano gli spostamenti dei detenuti da una cella all’altra e permettevano anche con un cellulare di fare telefonate all’esterno.