Niente permessi premio per Giuseppe “Romolo” Di Silvio.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’esponente della famiglia di origine nomade e confermato l’ordinanza emessa il 2 marzo scorso dal Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Il 55enne aveva fatto reclamo avverso il provvedimento di diniego di un permesso premio, preso alla luce della gravità dei reati oggetto della condanna alla pena di 30 anni di reclusione, in fase di espiazione, e del parere sfavorevole del direttore dell’istituto penitenziario di Rebibbia, emesso sulla scorta della relazione di sintesi “che ha messo in evidenza il difetto di riflessione critica sulle condotte criminose tenute, il sostanziale disconoscimento delle proprie responsabilità e l’opportunità conseguente della prosecuzione del trattamento murario”.
Il Tribunale ha evidenziato che, “a fronte di scarsa introspezione, non risulta che Giuseppe Di Silvio abbia espresso la volontà di coltivare un approccio costruttivo con la vicenda processuale, il che ostacola una verifica in punto di maturazione di una controspinta alle condotte devianti”.
La difesa ha sostenuto, nel ricorso in Cassazione, che “non v’è traccia nel provvedimento impugnato di quell’approfondimento necessario a valutare il percorso compiuto da Giuseppe Di Silvio nei lunghi anni di carcerazione e a cogliere gli indici della maturata consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di conformare i propri comportamenti ai doveri inderogabili di solidarietà”.
Una tesi che sembra smentita tra l’altro dalla recente inchiesta “Scarface”, in cui proprio “Romolo” è accusato di essere al vertice di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, a cui impartiva direttive dal carcere.