Braccianti sfruttati e utilizzo di fitofarmaci proibiti, arresti confermati

Arresti confermati anche dalla Cassazione per Salvatore Fontanella, i figli Pierluigi e Alessia, e Angelino De Gasperis, coinvolti nell’inchiesta aperta dal procuratore aggiunto Carlo Lasperanza e dal sostituto Claudio De Lazzaro e portata avanti dai carabinieri del Nas di Latina, denominata “Job Tax”, in cui è stata ipotizzata la costituzione di un’associazione per delinquere dedita allo sfruttamento della manodopera extracomunitaria in agricoltura, alle estorsioni e all’impiego illecito di fitofarmaci non autorizzati nelle coltivazioni in serra, considerati un pericolo per la stessa salute pubblica.

Per gli inquirenti il sistema di sfruttamento dei braccianti, in larga parte di nazionalità indiana e bengalese, sarebbe stato messo a punto nell’azienda agricola “Agri Fontanella e Figli”, tra San Felice Circeo, Terracina e Sabaudia, lasciando i lavoratori privi pure delle protezioni anti-Covid.


Gli arresti, disposti ad aprile, sono stati confermati dal Riesame e ora dalla Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibile il ricorso dei quattro indagati.

I giudici hanno specificato che nell’azienda “era praticata la sistematica adulterazione del prodotto ortofrutticolo (ravanelli) destinato al consumo umano, mediante utilizzo di fitofarmaci pericolosi per la salute pubblica, dato, quest’ultimo, emerso dal contenuto delle intercettazioni, per stessa ammissione degli ignari conversanti, ma anche dall’accertamento svolto, in pregressa analoga attività investigativa, dall’Istituto Superiore della Sanità, e corroborato da un accertamento tecnico disposto dal pubblico ministero”. Sullo sfruttamento hanno poi evidenziato che “ai lavoratori era imposto di utilizzare modalità di trasporto organizzato, in condizioni contrarie alle regole della circolazione stradale, dal coindagato Shafkul; in qualche caso, era impiegata manodopera sprovvista di regolare permesso di soggiorno, nella piena consapevolezza degli indagati; le retribuzioni erano palesemente difformi da quelle previste nei contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato (sul punto, il Tribunale fa rinvio al dato emerso dalle schede-lavoro per persona, grazie alle quali si è accertato un gap retributivo pari a euro 557.504,60); la remunerazione era spesso corrisposta a cottimo, mediante un sistema di controllo posto in essere dai sorveglianti con l’utilizzo di tablets; i lavoratori si trovavano in condizione di assoluta soggezione, siccome minacciati di perdere il posto di lavoro in caso di lamentele o rifiuto di sottostare a quelle condizioni”.

E come se non bastasse “a ciò si aggiunga che l’azienda operava in palese violazione delle regole più elementari sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, non avendo ottemperato agli obblighi di formazione dei lavoratori, mai sottoposti a visite mediche e costretti a lavorare in condizioni di carenze di tipo igienico e di sicurezza, senza che fossero stati realizzati servizi igienici o forniti dispositivi di protezione e indumenti adeguati e ciò nonostante si facesse ampio utilizzo di fitofarmaci pericolosi per la salute dell’uomo”.

“Gli indagati – si legge nel provvedimento della Corte di Cassazione – hanno dimostrato una particolare spregiudicatezza e pervicacia, anche in corso di accertamenti degli organi investigativi, ai cui controlli hanno tentato di sottrarsi”.