Annullata la misura di prevenzione applicata a Gianluca Tuma.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di quest’ultimo e di quelli che prima il Tribunale di Latina e poi la Corte d’Appello di Roma hanno ritenuto essere suoi prestanome, la moglie Claudia Costanzo, la madre Olimpia Gaveglia, il fratello Gino Grenga, e l’amico Giampiero Di Pofi.
Bocciato dunque il decreto con cui a Tuma, imprenditore e amico del boss Costantino Cha Cha Di Silvio, condannato in via definitiva nel processo “Don’t touch”, sono stati confiscati beni per circa tre milioni di euro e applicata la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni.
La Corte d’Appello di Roma dovrà tornare a pronunciarsi sulla misura di prevenzione e dovrà farlo rispettando tre principi fissati dalla Suprema Corte.
“Il decreto impugnato – secondo gli ermellini – pecca dell’omissione di una esatta delimitazione temporale della pericolosità sociale del soggetto proposto ai fini dell’applicazione della misura patrimoniale e della mancanza di più specifiche indicazioni quanto all’attualità della pericolosità“.
Ancora: “Emerge dal decreto impugnato che il proposto è stato assolto dall’accusa di partecipazione alla associazione per delinquere capeggiata da Costantino Di Silvio. Secondo la Corte di appello, la motivazione di detta assoluzione evidenzia che vi era stata una carenza di prospettazione accusatoria che in maniera sbrigativa aveva indicato quale prova dell’appartenenza di Tuma all’associazione esclusivamente due specifici episodi, mentre, invece, quelli da segnalare avrebbero potuto essere molti di più. In sintesi, detti episodi non venivano ritenuti indicativi della partecipazione al sodalizio criminale, mentre secondo la Corte in sede di prevenzione dimostrerebbero la sussistenza quanto meno di un concorso esterno ad esso. Il Collegio osserva che quello appena esposto costituisce un caso evidente di indebita rivalutazione di un dato probatorio la cui valenza era stata espressamente esclusa dal giudice della cognizione”.
La Cassazione ha così stabilito che è necessaria “una completa riconsiderazione del materiale valutabile ai fini dell’applicazione delle misure, sia personale che patrimoniale”, rispettando tre principi: rigorosa osservanza del principio rebus sic stantibus e di preclusione processuale in relazione all’esito delle precedenti e rigettate richieste di applicazione della misura nei confronti del proposto, obbligo di valutazione di tutte le decisioni adottate dal giudice della cognizione penale nei confronti del proposto e divieto di rivalutazione del dato processuale e probatorio in senso ontologicamente difforme rispetto a quello apprezzato dal giudice penale, e necessità di più accurata precisazione del profilo della pericolosità generica in relazione alle specifiche condotte e alla natura dei reati per cui il ricorrente ha riportato condanna.