Negato all’ex giudice Lollo l’affidamento ai servizi sociali

Antonio Lollo

Niente sconti per l’ex giudice Antonio Lollo.

Protagonista della pagina più nera nella storia del Tribunale di Latina, ritenuto dagli inquirenti il motore di un sistema corruttivo creato attorno alla sezione fallimentare dell’ufficio giudiziario a danno di aziende e creditori e arrestato nel 2015, l’ormai ex magistrato ha patteggiato a tre anni e mezzo di reclusione.


L’estate scorsa è stato quindi rimesso ai domiciliari per scontare una pena residue di due anni e dieci mesi e, prima il Tribunale di Sorveglianza di Perugia e ora la Corte di Cassazione gli hanno negato l’affidamento in prova ai servizi sociali.

Una decisione presa dal Tribunale di Perugia sostenendo che “non si era ancora concretizzata una volontà dell’interessato autenticamente riparativa”.

Di più: “Il Lollo non solo non aveva spontaneamente intrapreso iniziative in favore della collettività, ma non aveva nemmeno fornito alcuna collaborazione per realizzare la restituzione integrale del profitto ed anzi aveva continuato ad abitare nell’immobile confiscato, giovandosi dei vantaggi materiali conseguiti con l’attività illecita”.

Il Tribunale ha preso “meticolosamente in esame la gravità dei reati oggetto di condanna (corruzione in atti giudiziari con conseguimento di profitti quantificati in un milione di euro) e gli aspetti negativi della personalità del condannato (il quale aveva scelto di delinquere nonostante fosse dotato di tutti gli strumenti sociali e culturali per astenersi dalla consumazione di reati) nonché le complicità fornitegli dal suo nucleo familiare (la moglie e la suocera sono state condannate per varie ipotesi di favoreggiamento nell’ambito delle stesso procedimento definito dalla sentenza in esecuzione), e poi “ha passato in rassegna le condotte successive al reato, evidenziando l’assenza di segnali convincenti di revisione critica del passato, a prescindere dalla confessione finalizzata ad ottenere un trattamento sanzionatorio più mite”.

Ancora: “Al riguardo ha pertinentemente osservato che il Lollo, aveva sì avviato un’attività lavorativa libero professionale (consulenza in favore di aziende con problemi finanziari e di redditività), ma aveva preferito non allontanarsi dal settore in cui aveva commesso i reati nella qualità di giudice delegato ai fallimenti ed aveva, anzi, sfruttato le conoscenze personali acquisite nell’epoca di consumazione dei reati. Risulta, infatti, dagli accertamenti indicati nella sentenza in esecuzione che il commercialista con cui attualmente collabora, in passato, gli aveva versato una somma di denaro di ventimila euro con causale sospetta ed era stato anche intestatario dell’autovettura nella disponibilità di fatto di sua moglie. Ha, infine, rilevato che il Lollo, lungi dallo svolgere attività riparativa in favore della collettività, non aveva neanche preso la distanza dai reati lasciando spontaneamente l’appartamento confiscato, preferendo attendere la definizione del procedimento esecutivo che certamente non aveva agevolato”.

La Cassazione ha quindi dichiarato il ricorso dell’ex giudice inammissibile.