Neppure anni di carcere sarebbero serviti a piegare il clan Di Silvio.
Il principale desiderio di un esponente della famiglia nomade del calibro di Giuseppe Di Silvio, detto Ciappola, protagonista della guerra criminale tra rom e non rom del 2010 e arrestato all’epoca, sarebbe infatti quello, una volta libero, di riprendere l’attività criminale, come e più di prima.
Un progetto manifestato dallo stesso Di Silvio, in un pizzino inviato all’interno del carcere di Viterbo all’amico Angelo Travali, detto “Palletta”, condannato nel processo Don’t touch e colpito di recente da una nuova misura cautelare nell’ambito dell’inchiesta “Reset”, in cui viene indicato come il capo dell’omonimo clan, in grado di controllare numerose piazze di spaccio e compiere estorsioni in serie.
Poche righe scritte da “Ciappola” e inviate a Travali tramite un altro detenuto, un albanese, nel 2018.
Il pizzino però è stato intercettato dalla polizia penitenziaria ed è finito al vaglio della Direzione distrettuale antimafia di Roma.
“Si ripiglia come avevamo lasciato – ha scritto Giuseppe Di Silvio a “Palletta” – pistola in pugno e si rientra in azione, moto e casco integrale, e annamo una bomba. Ma mo Ciappola si fa un po’ di rapine belle e poi casa, e poi casa mi faccio, e tutta una passeggiata per me, perché non c’ho paura”.
Firmato “il tuo fratello più bello” e precisando: “Per il mio grande amore fraterno Palletta il tuo Ciappola”.
Lo stesso Ciappola e i Travali, anche a Viterbo, avrebbero inoltre continuato a tormentare Roberto Toselli, già minacciato a Latina per farlo ritrattare nel processo Don’t touch.
Il giovane, nel capoluogo pontino, provò a suicidarsi, e da quel dramma, scongiurato dalla Penitenziaria, prese il volo l’inchiesta “Alba Pontina”.
Toselli, poi, terrorizzato, decise di non collaborare più con i magistrati, ma alla fine si è deciso nuovamente a parlare e ha riferito delle aggressioni e delle minacce subite nel carcere dell’alto Lazio.