
Una bimba di 12 anni violentata per settimane, senza che nessuno se ne accorgesse. Vittima di amici di famiglia che nei giorni della Fondi dichiarata “zona rossa” causa Covid-19 abitavano sotto lo stesso tetto. Ospiti che, mentre l’emergenza sanitaria teneva l’Italia col fiato sospeso, si sono dimostrati predatori sessuali senza scrupoli. Un 26enne ad abusarne carnalmente, altri due uomini di 27 e 31 anni a fare da pali all’esterno del salone dove si sono consumati i rapporti, controllando che non arrivassero la madre della piccola o il fratellino. Quasi sempre in quei momenti indicibili presenti proprio a pochi metri di distanza, a dormire inconsapevoli in camera. Il timore di essere scoperti non riguardava la possibile venuta del padre della vittima, in quel periodo costretto a lungo fuori casa per questioni lavorative. Lontano l’uomo che li aveva accolti in casa, largo agli istinti più bassi. Catapultando la 12enne in un incubo protrattosi da marzo ad aprile, durante il periodo del lockdown. Consumatosi in un appartamento del centro urbano, nella quasi totalità dei casi di primo mattino. E venuto progressivamente alla luce solo in differita, dopo che lo scorso luglio i tre orchi erano stati allontanati dalla casa condivisa con la vittima. Non certo per le violenze, però, di cui non si aveva contezza. Queste sono emerse man mano nei giorni a seguire. Fino ad arrivare all’alba di giovedì 22 ottobre, quando è scattato il blitz che ha portato il terzetto a finire in manette, al culmine di una brillante indagine condotta dagli agenti del Commissariato locale, coordinati dal dirigente Marco De Bartolis.
Di mezzo, un delicato lavoro investigativo protrattosi per mesi. Ma anche e soprattutto uno straziante confronto che ha visto, loro malgrado, protagoniste madre e figlia. La donna si era resa conto di come la bambina, di nazionalità indiana, allo stesso modo degli altri protagonisti della vicenda, non fosse più la stessa. Il suo istinto materno le aveva fatto intercettare dei cambiamenti così profondi da inquietarla. La piccola da par suo aveva tenuto tutto dentro, affrontando il trauma in solitaria. Con tutta probabilità anche per paura di ritorsioni, dato che stando alle ricostruzioni degli inquirenti gli orchi l’avevano minacciata, intimandole di tacere gli abusi. E la minorenne è stata zitta. Almeno fino a quando dietro le insistenze della madre, risultata accorta quanto incisiva, il muro del silenzio non è stato scalfito. Lasciando spazio entro non molto, crollata ogni barriera, a confidenze sempre più sconvolgenti. Da lì, il passo verso la denuncia dell’accaduto è stato brevissimo. Ad inizio agosto la donna si è presentata in Commissariato permettendo di avviare le indagini. Una decisione che in determinati contesti e casi non è così scontata come potrebbe apparire dall’esterno. Dato di fatto che gli addetti ai lavori sanno bene, purtroppo. Tanto da non lasciarsi scappare l’occasione, seppure informalmente, per sottolineare l’importanza di denunciare. Storiacce come quella in questione, ma non solo.
Nell’occasione, dopo aver raccolto le dichiarazioni della madre, i poliziotti hanno ascoltato la giovane vittima in un ambiente protetto. Seguendo, sottolineano dalla Questura, i protocolli d’indirizzo emanati dalla Procura in materia di delitti che coinvolgono donne e minori, al fine di mitigare quanto più possibile l’ulteriore trauma di dover ricostruire e rivivere le violenze subìte. Violenze tratteggiate non solo da una ricostruzione dei fatti precisa e puntuale, ma confermate anche dagli accertamenti medico-legali disposti dall’autorità giudiziaria. Per un quadro investigativo concreto, tale da far scattare senza esitazioni le manette ai polsi degli indagati, destinatari di un provvedimento di fermo indiziario incentrato sull’ipotesi di reato di violenza sessuale di gruppo, aggravata dalla minore età della vittima. Due sono stati rintracciati dai poliziotti in altrettanti appartamenti del centro urbano fondano, il terzo è stato rintracciato nel nord Italia, in un’abitazione in provincia di Pordenone, dove si era trasferito da qualche tempo. Gli inquirenti avevano il sentore che almeno uno di loro – tutti impegnati nel comparto agricolo – potesse far perdere le proprie tracce da un momento all’altro. Da quanto trapelato, nessuno ha opposto resistenza. Né si sarebbe dimostrato particolarmente stupito alla vista delle divise. Espletate le formalità di rito legate all’applicazione della misura cautelare, sono finiti in carcere. Il 27enne e il 31enne fermati a Fondi sono stati associati alla casa circondariale di Rieti, essendo quella di Latina – almeno nell’immediato – troppo affollata per via delle direttive anti-Covid sul distanziamento sociale, volte a ridurne la capienza. Il 26enne è invece finito nel carcere di Pordenone.