Tutti condannati nel processo scaturito dall’inchiesta denominata Stelvio, relativa a un avvocato penalista del foro di Santa Maria Capua Vetere che secondo gli inquirenti è stato sequestrato a febbraio a Latina da un cliente, picchiato e costretto a firmare cambiali per oltre centomila euro per non aver ottenuto i risultati sperati in alcuni giudizi penali e civili, ma senza aggravante del metodo mafioso.
Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Paola Della Monica, ha condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione, a fronte di una richiesta di 20 fatta dal pm Antonio Sgarrella, il 44enne Ernesto Pantusa, di Latina, a un anno e mezzo Fabrizio Fava, di Tivoli, a due anni, Salvatore Carleo, di Morena, e a due anni Debora Fiorucci, di Sermoneta, per i quali erano stati chiesti 12 anni di carcere.
Il legale campano, con segni ancora evidenti sul viso e sul corpo del pestaggio subito, il 25 giugno 2019 si presentò presso il comando provinciale dei carabinieri di Latina, denunciando di essere stato sequestrato, picchiato, minacciato con un manganello, rapinato di 2.300 euro in contanti, di effetti personali e dell’auto, una Bmw X6, e costretto a firmare cambiali e scritture private per 110mila euro.
L’avvocato riferì agli investigatori di essere stato contattato da un suo cliente del capoluogo pontino, Ernesto Pantusa, che gli aveva chiesto di poter assistere un amico e per tale ragione gli aveva dato appuntamento nei pressi della Procura.
A quel punto però il legale sarebbe stato costretto a salire su un’auto, un suv Alfa Romeo Stelvio, da cui il nome dato all’inchiesta, e condotto in un capannone alla periferia della città, nei pressi di Borgo Bainsizza, dove sarebbero subito iniziate le violenze.
Pantusa sarebbe stato raggiunto da quelli che sono stati inquadrati dagli inquirenti come suoi complici, la 51enne Debora Fiorucci, di Sermoneta, e i romani Salvatore Carleo e Fabrizio Fava, di 63 e 62 anni.
Un incubo durato cinque ore, nel corso delle quali l’avvocato sarebbe stato accusato di non aver ottenuto i risultati sperati in alcuni giudizi penali e civili, per costringerlo a versare il denaro come “risarcimento”.
Gli indagati avrebbero inoltre paventato il possibile intervento di un esponente della criminalità organizzata casertana se non avesse pagato.
Ma l’accusa di mafia non ha retto e le ipotesi iniziali sono state notevolmente ridimensionate.