Micalusi, Zizzo e i tanti intrecci tra il boss Senese e il territorio pontino

Sembra quasi una beffa per un boss del calibro di Michele Senese. A far scattare un’inchiesta imponente sugli affari dell’esponente della camorra, uomo di fiducia a Roma del potente clan Moccia, sono stati i sospetti spuntati fuori nelle indagini su due pontini.

Altro che un semplice investimento illecito in un caseificio di Pontinia. Gli intrecci tra ‘o pazz e la provincia di Latina sono numerosi e profondi.


L’Antimafia di Roma ha chiesto e ottenuto 28 misure cautelari e, alla luce degli accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza e dalla squadra mobile su quello che è uno dei capi della malavita romana, ha formulato accuse di estorsione, usura, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, auto riciclaggio e reimpiego dei proventi illeciti, con l’aggravante di avere agito con metodo mafioso agevolando la galassia criminale della camorra campana.

Sequestrati inoltre beni e aziende per circa 15 milioni di euro, tra cui un caseificio di Pontinia, su via Marittima II.

Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Roma, Annalisa Marzano, emerge però che tutto è appunto partito dalle indagini svolte su due pontini, il noto ristoratore terracinese Gianni Micalusi, che trasferitosi anche lui a Roma ha visto ai suoi tavoli un lungo elenco di vip, e il fondano Carlo Zizzo, impegnato nel narcotraffico ad alti livelli.

Indagando sui due la Dda si è decisa “ad approfondire il contesto criminale della nota famiglia dei Senese”. E contatti particolari tra il boss trapiantato a Roma e i pontini sono ben presto spuntati fuori.

Del resto la Mobile in una precedente comunicazione all’Interpol aveva evidenziato i rapporti tra Micalusi e Senese. Tali che per il compleanno dell’esponente della camorra, in quel momento agli arresti ospedalieri presso la clinica Sant’Alessandro, il terracinese gli fece recapitare una cena a base di pesce fresco.

I rapporti tra i due erano cordiali. Micalusi chiamava Senese zio e quest’ultimo gli diceva: “Io ti penso sempre con simpatia anche se tu non pensi a me”.

A finire di mettere nei guai l’uomo forte dei Moccia, in passato legato anche alla Banda della Magliana, sono stati poi altri elementi emersi nelle indagini su Zizzo.

Quindi l’investimento a Pontinia, secondo gli inquirenti per ripulire denaro, e non solo.

Un’operazione compiuta da Angelo Senese, fratello del boss, e Domenico Mastrosanti, entrambi abbondantemente noti alle forze dell’ordine, che nel 2018 avrebbero acquistato lo stabilimento caseario Terre Pontine srl attraverso l’interposizione fittizia della società Oro Bianco srl.

Angelo Senese si sarebbe quindi dedicato anche a riscuotere crediti derivanti dalla cessione a terzi dei prodotti caseari realizzati dalla Oro Bianco e avrebbe avuto ottime conoscenze in zona.

Il fratello del boss, avendo accumulato alcuni noti imprenditori di Cisterna, anche loro del settore, un notevole debito con il caseificio, si sarebbe così rivolto a un suo amico, un falegname di Cisterna, di 63 anni, per farlo intercedere con i debitori e far “spiegare” a quest’ultimi contro chi si stavano mettendo.

Gli intrecci tra l’inchiesta sui Senese e la terra pontina riguardano infine anche i pentiti.

Tra i collaboratori di giustizia che hanno consentito agli inquirenti di fare luce sugli affari del boss c’è stato infatti anche il 53enne Giancarlo Orsini, arrestato nel 2014 per l’omicidio di Federico Di Meo, giovane di Cisterna, freddato sull’Appia, al confine tra Cisterna e Velletri, il 24 settembre 2013.

“Me lo ricordo – ha affermato il pentito parlando di un incontro con Senese – praticamente ho visto Senese perché arrivò nella maniera come…stile Gomorra, con due moto, due guardaspalle, tutti e due sicuramente armati”.