L’isola è una rivoluzione, De Luca e Limonov a Capri

Riceviamo dallo scrittore ponzese Antonio De Luca e con grande piacere pubblichiamo:

Vivere in un’isola è vivere metafisicamente, e qualche volta fisicamente, una rivolta, quotidiana e perenne. Sopra un’isola la rivoluzione è sempre presente, non dorme mai, tuttalpiù sta nell’ombra e assiste al corso della storia. Pronta sempre a intervenire, a decidere gli eventi.


Ogni individuo che vive in mezzo al mare, deve, per vivere inventarsi una rivolta quotidiana.

Sopra un’isola il pensiero creatore si alimenta, ed è in viaggio continuo all’esplorazione di sé stesso. I processi rivoluzionari sembra che abbiano bisogno di isole.

Della mia vita, e della mia letteratura ne ho fatto un’isola. Materializzata in un naviglio di pietra che viaggia e si sposta in un infinito viaggiare. Di questa materializzazione si alimenta la mia poetica mediterranea soprattutto di poeta e di pensatore, qualcuno dice di una filosofia mediterranea.

Scrivo come vivo, allora scrivo come un’isola. La parola è un’ isola aperta sull’infinito viaggiare dei suoi significati, primitiva e vagabonda.

Ho vissuto i primi 12 anni sopra una piccola isola, Ponza, tra uomini di avventure vere e i loro stati di solitudine. Ho vissuto e giocato in una strada dove erano vissuti uomini in esilio, avventurieri e navigatori. Questi esiliati, una volta riconquistata la libertà, hanno lasciato le loro ombre, i loro pensieri su questa strada sul mare, tra le facciate delle case, tra i portoni.

La mia casa, era a pochi metri dalla casa d’esilio del partigiano e poi Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Lo incontrai una volta, lui era Presidente della Camera, io uno studente, da soli faccia a faccia nella nostra strada.

In quei primi 12 anni, ho vissuto tra gente che avevano conosciuto e frequentato Sandro Pertini e altri confinati. Questi uomini avevano lasciato germi di un pensiero in rivolta sul selciato di queste strade, una di queste diventò parco e teatro dei miei giochi, e delle prime acquisizioni conoscitive.

A 12 anni vengo trasferito per motivi di studio in un collegio di Padri Barnabiti nella città di Napoli, sulla collina virgiliana di Posillipo. E ancora una volta davanti sul mare, vedo altre isole che stanno per diventare protagoniste del mio esistere. Davanti alla mia aula, al mio vivere quotidiano ci sono tre isole.

Strano destino, questo continuo rincorrersi tra me e le isole. Quattro isole a dettare i processi conoscitivi dei miei primi 20 anni. Procida, l’isola di Arturo, dal libro di Elsa Morante. Divenne il pensiero di un vivere quotidiano, un rimando continuo alla mia adolescenza. Ischia, la Pithecusa dei Greci, il mio essere greco, gli Dei, le muse e il fato. Amo e vivo di letteratura, soprattutto di poesia greca. Scrivo di grandi utopie.

È la Grecia che mi tiene in piedi. Il Mediterraneo è la mia casa, e sto bene con tutti quelli che l’abitano. Infine Capri, i versi di Pablo Neruda, i grandi scrittori-viaggiatori dell’800, ma anche soprattutto l’isola della scuola russa, la Scuola della Rivoluzione, di Maksim Gor’kij, Aleksandr Bogdanov e Anatolij Lunacarskij.

Quattro isole mediterranee galleggiano e vivono sul mare della mia esistenza. Ad esse si aggiungeranno altre terre, ma sempre isole. Strano destino il mio, prima dicevo.

Durante gli studi liceali su Marx vengo a conoscenza di quella scuola di rivoluzione caprese di inizio 900. Così il pensare si trasferisce dalla Ponza socialista e anarchica durante il regime fascista del partigiano Sandro Pertini, alla scuola russa di Capri. Divenuta in seguito un avamposto della grande rivoluzione russa detta anche la rivoluzione di ottobre.

Ma cosa è successo a Capri in quegli anni del primo 900? Durante l’era zarista in Russia, molti intellettuali e artisti vivono in esilio, spesso anche volontario, per l’Europa. Da Parigi a Genova e così qualcuno arriva all’isola di Capri, e sulle coste campane. Tra questi, lo scrittore Maksim Gor’kij assunse nell’isola mediterranea un ruolo importante, e non sarà di meno anche Aleksandr Bogdanov. Questi uomini ma anche insieme ad altri emigrati russi, intellettuali operai e artisti, che a Capri si trasferirono, ebbero un ruolo tutt’altro che trascurabile nella storia della rivoluzione russa.

L’isola di Capri senza esserne cosciente si trovò ad essere protagonista nel processo della costruzione della rivoluzione russa. Gor’kij era il grande letterario, di fama mondiale. Nella sua casa caprese ospitava artisti, politici e gente qualunque. Bogdanov divenne la mente teorica della Scuola di Capri. Qui in mezzo al Mediterraneo, nell’isola che fu di Tiberio, intellettuali e gente comune venuti dalla Russia si interessano di storia, economia, letteratura, filosofia, e soprattutto politica. E non solo, ma anche in una ricerca di un ateismo religioso. “Una costruzione di Dio” secondo un termine usato dallo stesso Gor’kij.

Un’anima utopistica, che si alimenta da una problematica etico-politica- religiosa dagli scritti di Marx, Dostoevskij e Nietzsche. Quest’anima si inserirà lentamente nella dottrina bolscevica, facendo quasi da contraltare al rigido razionalismo di Vladimir Lenin.

In questa scuola caprese Gor’kij intuisce e fa proprio quel termine “realismo socialista”, che al Congresso degli scrittori sovietici del 1934 egli detta come strumento della ideologia marx-leninista. Che tuttavia mai sarà da considerare struttura monolitica, ma sempre soggetta agli interessi della Rivoluzione.

Gor’kij a Capri ospita due volte Lenin. Lenin ha bisogno di Gor’kij e soprattutto di Bogdanov, i due hanno grande ascendente sugli intellettuali e artisti russi sparsi in Europa e nella stessa Russia. A Lenin, rigoroso e calcolatore rivoluzionario, era invisa la “cultura proletaria” di Bogdanov.

La scuola di Capri promulgava uno bolscevismo ortodosso, un Marx ortodosso. Si può dire che il bolscevismo caprese era a sinistra dello bolscevismo di Lenin. Inoltre Lenin voleva portare quella scuola di rivoluzione a Parigi, al centro dell’Europa. E così avvenne che il 5 dicembre del 1909 la “Scuola di Capri” si chiuse.

L’importanza di quella scuola nata in una piccola rocca mediterranea fu strategica nell’attuare la rivoluzione russa e lo stesso bolscevismo leninista. Gor’kij e Bogdanov furono artefici nella costruzione rivoluzionaria.

Nel 2019 ritorna in Italia il poeta, scrittore e rivoluzionario russo Eduard Limonov. Deve presentare il suo ultimo libro Il boia, ed.Sandro Teti. Limonov si presenta all’Istituto di cultura russa Maksim Gor’kij di Napoli e poi vuole andare a Capri. Inoltre a Capri, unico posto in Italia, resiste un monumento a Lenin, fatto da Giacomo Manzù.

Avevo conosciuto Eduard Limonov alcuni anni fa a Torino, alla Fiera internazionale del libro. Entrambi abbiamo lo stesso editore. Il giornalista Rai, attuale corrispondente da Mosca ed acuto scrittore di problemi mediorientali, ma soprattutto amico, Marc Innaro, presente a quell’evento me ne parla. Conosco e frequento Limonov per tre giorni, lo stesso editore Sandro Teti e Marc Innaro mi fanno da interprete.

Sono molto interessato alla scrittura e al linguaggio provocatorio di Limonov e alla sua vita privata, che poi è anche soprattutto pubblica. Mi affascina il Limonov rivoluzionario di stampo anarchico e bolscevico, l’uomo sempre in fuga al limite della ragione, provocatorio senza pausa. Il Limonov che ha fatto tre guerre, l’ultima nei balcani a fianco dei serbi, di Karadzic. Per questo fu espulso dalla Francia.

Parliamo a lungo di Vladimir Putin e della attuale Russia. Limonov è stato in carcere per volere di Putin, il suo partito nazional-bolscevico fu messo fuori legge. Oggi quel partito si chiama L’Altra Russia, e i due si parlano, mi dicono persone ben informate.

Limonov non condivide la gestione interna della Russia. Dice che Putin non è un socialista come pensiamo in Europa, né è un dittatore, ma solo il rappresentante di gruppi economici che detengono il 70% dell’economia russa, a cui deve dar conto. Ma condivide la sua politica estera, anzi lo vorrebbe più aggressivo, teme sempre l’imperialismo americano ed ora anche quello cinese, soprattutto nella regione siberiana, ricca di gas, petrolio e pietre preziose.

Ma dopo la gestione di Boris Eltsin la Russia era stremata, mancavano persino il pane e beni di prima necessità dagli scaffali dei mercati, il popolo era affamato. Dice che Eltsin era comandato dall’occidente e dagli interessi della finanza. Era inevitabile la salita al potere di un uomo del KGB, a ridare dignità al defraudato impero russo.

Eduard Limonov visse in America, 5 anni a New York in fuga dalla Russia. Il suo risentimento nei confronti dell’Urss andava di pari passo col suo disprezzo per gli Stati Uniti. Così scrive in quegli anni.

“Questa civiltà è un paradiso per i mediocri. Pensavamo che l’Urss fosse un paradiso per i mediocri, pensavamo che qui sarebbe stato diverso se avessi talento. Cazzo no! L’ideologia lì, ragioni commerciali qui. Questo è approssimativamente vero. Ma che differenza fa per me esattamente perché il mondo non vuole darmi ciò che è mio di diritto alla mia nascita e al mio talento? Il mondo lo dà con calma – un posto, voglio dire, un posto nella vita, un riconoscimento – all’uomo d’affari qui, al lavoratore del partito laggiù. Ma non ha posto per me. Merda! Sono paziente, mondo, molto paziente, ma un giorno mi stancherò. Se non c’è posto per me e per molti altri, chi cazzo ha bisogno di una civiltà come questa?” (Dal suo primo libro “Sono io, Eddie”, 1975).

La sua vita adolescenziale in Russia era marcata da essere considerato una canaglia. Vedeva che quelli obbedienti fallivano sempre. Era schedato per reati minori e collezionò un internamento psichiatrico. Crescendo si è evoluto in un audace poeta e un sarto alla moda per avere poco denaro per vivere.

Si unì alla libraia “alternativa” della città come amante, e migrarono insieme a Mosca, senza permesso. Lì incontrò la ragazza dei suoi sogni Elena, una musa totale che divenne sua moglie. Un’emigrazione a New York, dove sognavano carriere stravaganti. Ma scoprirono la durezza di quella vita americana e il massacro giornaliero di quella vita. Lei lo lasciò e lui vagò nei bassi, sempre ai margini di una vita dura e sempre estraniato. Fino a diventare il maggiordomo di un uomo ricchissimo, sempre cercando di pubblicare il suo primo libro. Raccontava questa epopea di sopravvivenza romantica e cinica fatta di solitudine e speranza e nel contempo, disperazione. A New York visse sei anni.

Poi si trasferisce a Parigi dove vive per 14 anni. In Francia Emmanuel Carrère scrive un libro su Limonov. Limonov diventa famoso in Francia e non solo. Sul libro di Carrère lui non condivide molto di quello che scrive l’autore: su di me Carrère ha scritto molte stupidaggini e falsità, un borghese che si inventa l’immagine di un teppista.

A Napoli Limonov è spietato contro l’Europa che ha colonizzato mezzo mondo. Ha cacciato gli indiani d’America, ha colonizzato l’Africa, adesso avviene il contrario. L’Europa sta per essere colonizzata. Questa è la vendetta per le crociate, per la cristianizzazione forzata, violenta, e per le cosiddette guerre per i diritti umani. Avete distrutto di recente la Libia e l’Iraq. Adesso in Siria state attuando gli stessi sistemi. Ora bisogna fare i conti con l’islamismo radicale. Queste analisi di Limonov le condivido e a Capri, dove l’ho accompagnato, riprendo a confermare le sue analisi.

Per lui sono il poeta napoletano, sono cresciuto sulle isole, ho conosciuto e vissuto questa terra dove nacquero i germi della rivoluzione bolscevica. Gli chiedo cosa pensa dei gilet gialli in Francia: mi hanno fatto un’ottima impressione, mi hanno ricordato dei miei vecchi alleati. Sono persone semplici, non amano Parigi, e a giudicare dagli arresti e dai condannati, svolgono mansioni molto umili.

Inoltre ci tiene a precisare che non condivide la manipolazioni di bambini, si riferisce a Greta, all’Europa invece piace molto. Su Salvini e l’attuale politica italiana non condivido del tutto il suo pensiero, dice che Salvini è un rivoluzionario, gli dico che non ha nessuna cultura rivoluzionaria ma è solo una persona da televisione, un ottimo attore, un teatrante. Che apprezzo alcune sue analisi in politica economica, ma quando bisogna decidere spesso si volta dall’altra parte. Anzi è un uomo di potere, proprio come Limonov intende il potere. E poi sulla storia dei fuggitivi sui barconi dalle guerre e fame l’ha fatta sporca, o non si è saputo o voluto prendere responsabilità più alte di lui. Ha cavalcato bene l’Italia della sottocultura e razzista, residuale bellico del nazi-fascismo. E questo lo dico con tutto il rispetto del Mussolini socialista, amico della Russia e della sua politica sociale, quando l’Italia e la Russia progettavano e applicavano politiche comuni.

Di quest’ultimo argomento mi soffermo a lungo con Riccardo Esposito che è anche un fine storico. A Capri Limonov sembra un’altra persona. Non ha la durezza espressiva e le poche parole che lo contraddistinguono. Anzi parla prima in russo e poi mi traduce in francese affinché io possa capire. Cerca ripetutamente il dialogo e mi trasmette la sua gioia quando lo chiamano da Mosca per dirgli che l’ex sindaco di Mosca Luzhkov è morto. Mi dice che gli aveva creato vari problemi, oltre a fargli avere una multa di 7000 euro, ma non mi dice il perché. E’ raggiante ed entusiasta, prende appunti e mi dice: scriverò di Capri, è da sempre che aspettavo di venire a Capri.

Capri appartiene alla storia dell’Urss, fa parte dell’iconografia russa grazie anche alle foto che ritraggono Gor’kij, Lenin e Bogdanov nel 1908. Avevo già da Napoli pensato di andare alla famosa e bellissima libreria La conchiglia. Avevo un appuntamento con il proprietario che è anche un raffinatissimo editore, Riccardo Esposito. Uomo coltissimo e intellettuale, Riccardo Esposito ha edito molti libri sulla storia di Capri, oltre ad organizzare eventi culturali di spessore internazionale. Il sign. Esposito mi omaggia di un libro di cui non ero a conoscenza, L’altra rivoluzione di Vittorio Strada, e ci accompagna per i luoghi della scuola della rivoluzione.

Limonov è sorridente e compiaciuto percorrendo i vicoli e i giardini che già furono di Lenin e Gor’kij. Ho l’impressione che con il suo silenzio, Limonov avesse un appuntamento con la storia. Cosa pensasse gli chiedo una volta arrivati al molo Beverello di Napoli, mi risponde: è presto per dirlo, troppe emozioni mi stanno assalendo, sono stanco, scriverò un libro.

Arrivammo davanti alla famosa terrazza dell’ex villa Blaesus, oggi albergo Krupp, dove avvenne la famosa partita a scacchi tra Lenin e Bogdanov. Qui Limonov osserva, rimane silenzioso, poi si affaccia sul mare, rimane da solo un po’ di tempo, poi mi chiede, prendendomi col braccio, facciamo una foto, chiedendomi chi fosse l’autore della stele a Lenin in marmo bianco.

Arrivati in piazzetta lui prende un tè alla menta, io un caffè lungo. Dico al cameriere che oggi a Capri è arrivato uno scrittore russo sulle tracce di ricordi della scuola russa. Poi mi alzo e vado alla cassa.

Il signore che doveva farmi pagare neanche mi fa parlare, mi dà la mano con gentilezza estrema, oggi siete ospiti di Capri mi dice. Continuiamo a parlare, la traduzione non mi è sempre facile, dice: sono come un albero selvaggio fuori dal tempo. È la vita che mi ha fatto scrivere. Ho preso parte a varie guerre, da lì ho tratto ispirazioni.

Limonov non ama il turismo soprattutto lo sfarzo modaiolo del turismo caprese, è quasi infastidito dalle schiere di stranieri che in inverno assalgono l’isola. Lui è povero sin da sempre, ha il denaro per vivere, ha sempre rifiutato ogni tipo di ricchezza. Ha una vita piena di avversità, sempre ai margini. Ha combattuto lo stereotipo tradizionale russo, il conservatore e il fatalista, il carattere popolare russo. Un popolo per due secoli destinatario passivo di un dominio autoritario.

Ha combattuto per la libertà individuale con un nazionalismo di sinistra impregnato di anarchismo, ma troppo debole e semplicistico per lo scontro con la grande macchina statale russa. Limonov non riesce ad avere giovani seguaci da poter coltivare e proteggere, perché ha difficoltà anche a farlo per se stesso.

Condannato dalla magistratura russa a 4 anni, sconterà 30 mesi. Aveva 61 anni quando tornò libero. La sua visione del mondo è contro il capitalismo globale, la sua lotta contro ogni sottomissione, non arrendersi al potere che impone quel ritmo di una vita senza più nessun valore.

Lui è contro tutti. Dice che sta bene nei regimi, quelli non autorizzati. È un provocatore, un dissacratore continuo, portato all’estrema esasperazione. Limonov è un illuminato e come tutti gli illuminati ha le sue contraddizioni, forse in lui qualcuna oltre le righe. Ma rimane l’uomo dal grande coraggio, dagli ideali che servono a vivere a tutti gli uomini.

Una vita estremamente avventurosa ed è ciò che mi interessa e affascina di questo scrittore. Per il deserto del Gobi non ci sono strade solo una direzione, mi dice mentre guarda il mare.

Gli chiedo del filosofo russo Aleksandr Dugin. Della sua idea di un impero euro-asiatico in contrapposizione all’occidente americanizzato. Dugin si dice è l’ideologo di Putin. Effettivamente mi piacciono molte analisi di Dugin, ma sono al corrente che i due non sono più in buoni rapporti. Qualcosa si è rotto, e allora non insisto.

Con Dugin fondammo il partito nazionalbolscevico, poi ci ha lasciato, è un uomo di grande cultura. Conosce bene l’italiano, siamo amici ma non ci frequentiamo più. Dugin è un ideologo ma non ha niente di originale, è un affabulatore. Lui non è mai stato in carcere, è rivoluzionario da salotto. Ma quando ci vediamo ci abbracciamo. Da solo, senza che gli chiedessi, inizia a dirmi del dopo Putin.

Dopo Putin sarà molto dura. Ripete che non è il dittatore della Russia, dietro di lui ci stanno i potentati locali, non è un autonomo. Stiamo arrivando al termine del periodo putiniano. Lui non ha successori per ora e Medvedev non è all’altezza di succedergli. Oggi Putin si sta impegnando molto nel sociale, lui sta invecchiando rapidamente. Putin spesso dice che nella bara non ci sono tasche.

Forse Dmitry Peskov potrebbe essere il suo successore. Intanto una notizia di alcuni giorni fa, il Presidente russo starebbe studiando la possibilità di un terzo mandato. Davanti allo scenario di un mondo che attraversa momenti delicati, il popolo russo, l’occidente e il mondo intero non possono permettersi una Russia destabilizzata o alla mercè di uno squadrismo capitalista internazionale, una barbarie economica e sociale.

Gli chiedo dell’Ucraina, ho visto foto con nazisti provenienti dalla Germania in manifestazioni anti Putin. L’Ucraina ai temi dell’Unione Sovietica era solo una regione nell’amministrazione. Ora si è dato una sovranità che non gli spetta. È diventato parte dell’impero europeo e assoggetta spazi e territori che non le appartengono. Inoltre stanno proibendo la letteratura russa La Russia cerca di dare una influenza al mondo ma non sempre ci riesce, forse siamo solo all’inizio.

Non ama la strumentalizzazione dei bambini, per la protezione dell’ambiente ci vuole un concerto di stati con una forte volontà politica. Non può essere una bambina a salvare il mondo. In Russia solo ora si prende coscienza che abbiamo distrutto il lago Baikal. E’ stato a Roma dice che è sporca e gli dispiace. Mosca è molto pulita ed organizzata, dove tutto funziona, ma non gli piace. Lui vuole vivere nella città che sta nella sua fantasia.

Gli chiedo della mafia russa. Anche da noi abbiamo la mafia. Io ero in carcere con i miei compagni e i mafiosi in carcere mi chiedevano i soldi per farci stare in pace. Abbiamo avuto forti scontri ma abbiamo vinto noi.

Non siamo più i vecchi contadini, ci siamo evoluti, noi siamo il popolo europeo più grande, l’Europa siamo noi, conclude. Il cameriere ci saluta con cordialità genuina e lasciamo la piazzetta di Capri.

Chissà mi chiedo. Forse il conto lo pagarono quelli della Scuola della Rivoluzione, in attesa dell’ultimo bolscevico. Qui a Capri la rivoluzione russa metteva i suoi germogli. Ma quella storia è solo addormentata, forse non è finita. Troppe ingiustizie nel mondo. Quello che Marx predisse si sta avverando. Pochi ricchi e moltissimi poveri.

Questo ho condiviso con Eduard Limonov al balcone sul mare che vide quei tre giocare a scacchi e a parlare di chissà che cosa. A Capri è passata una delle pagine più importanti della storia del millennio.

Mi saluta poeta napoletano, vestito di bianco come un orso polare dalla faccia di bronzo. Dice che Napoli ha l’anima russa, allora quell’anima in parte mi potrebbe appartenere. Ci salutiamo, dice che scriverà di me. Riporto per finire una pagina di uno dei suoi libri.

Verranno tutti. I delinquenti e i timidi – i timidi sanno battersi bene. Gli spacciatori di droga e i procacciatori di clienti per i bordelli. Verranno gli onanisti, gli amanti di riviste e film porno. Verranno quelli che si aggirano da soli nelle sale dei musei o sfogliano libri nelle biblioteche cristiane. Verranno quelli che ci mettono due ore a sorseggiare il loro caffè da McDonald’s, guardando malinconicamente attraverso la vetrata.Verranno i falliti in amore, negli affari e nel lavoro, e quelli che hanno avuto la sfortuna di nascere in una famiglia povera. Verranno i pensionati che al supermercato fanno la fila riservata a chi compra meno di cinque articoli. Verranno i delinquenti neri che sognano di scoparsi una bianca di buona famiglia e, siccome non ce la faranno mai, la violentano. Verrà il doorman dai capelli grigi, che vorrebbe tanto sequestrare e torturare quell’insolente ragazzina ricca che sta all’ultimo piano. Verranno gli audaci e i forti di ogni strato sociale, per distinguersi e conquistare la gloria. Verranno gli omosessuali a coppie, tenendosi abbracciati, verranno gli adolescenti che si amano. Verranno i pittori, i musicisti, gli scrittori di cui nessuno compra le opere.Verrà la grande e valorosa tribù dei falliti, losers in inglese, in russo neudacniki. Verranno tutti, imbracceranno le armi, occuperanno una città dopo l’altra, distruggeranno le banche, le fabbriche, gli uffici, le case editrici, e io, Eduard Limonov, marcerò in testa alla colonna, e tutti mi riconosceranno e mi ameranno.” (Dal secondo libro di Limonov, “Diary of a Loser”, 1977