Battaglia decennale con Acqualatina, Comune sconfitto

Comune di Aprilia sconfitto da Acqualatina. Fallito il tentativo dell’ente locale di rimettere in discussione, con un ricorso in Cassazione, gli accordi stretti inizialmente dallo stesso ente con la società che gestisce il servizio idrico.

Una battaglia andata avanti per oltre dieci anni, in cui la spa dell’acqua è risultata sempre vincitrice.


Ad avviare il contenzioso era stato un gruppo di cittadini, che aveva chiesto al Tribunale di Latina di dichiarare inefficaci o di annullare l’atto costitutivo, lo statuto e i patti parasociale stipulati dal Comune di Aprilia con Acqualatina, dunque anche tutti gli atti che regolano i rapporti tra i soci privati e quello pubblico.

Una richiesta fatta sostenendo che tali atti erano stati siglati dal sindaco, ma che quest’ultimo non era autorizzato a prendere tali impegni.

Il 3 dicembre 2008 il Tribunale ha però dichiarato inammissibile la richiesta. Ed è andato anche oltre giudicandola infondata nel merito.

Il gruppo di cittadini che aveva contestato Acqualatina non si è arreso e ha impugnato la sentenza, confermata però il 29 aprile 2014 dalla Corte d’Appello di Roma, ritenendo corretto il giudizio di inammissibilità in quanto l’azione popolare ha natura “meramente suppletiva e sostitutiva, non correttiva con riguardo all’illegittimità di un atto posto in essere dal Comune”, compiuto secondo i cittadini in assenza dei necessari poteri rappresentativi.

A quel punto, ritenendo la giunta di Antonio Terra fondate le perplessità espresse dai cittadini, è intervenuto lo stesso Comune, che ha fatto ricorso in Cassazione, specificando che il sindaco non poteva all’epoca ritenersi autorizzato a concludere il contratto con la spa dell’acqua, mancando l’approvazione completa della convenzione di cooperazione, e ritenendo che l’azione popolare non era stata avviata in via correttiva, ma sostitutiva, vista l’inerzia dell’ente locale.

Un ricorso che ha visto dunque il Comune subentrare al posto del gruppo dei cittadini soccombenti, dichiarato ora inammissibile dalla Corte di Cassazione, con la condanna dell’ente locale a pagare oltre seimila euro di spese processuali.