Condanna definitiva per il 41enne che, nel corso di un litigio, quattro anni fa ad Aprilia uccise l’amico.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Safet Tajkunovic, rom di origine serba, confermando per lui la condanna a 23 anni di reclusione inflitta dalla Corte d’Assise del Tribunale di Latina e già avallata dalla Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Roma.
Il 10 agosto 2015, dopo essersi recato in auto da Roma ad Aprilia, azzuffandosi con Liviu Gigi Boarnà, il 41enne sparò un colpo di pistola, ferendosi a un braccio e colpendo a morte l’amico.
Il colpo raggiunse infatti Boarnà all’ascella e gli provocò la rottura di un vaso polmonare.
Tajkunovic a quel punto rientrò nel campo nomadi romano di via Salone, dove alloggiava, e lasciò la vittima agonizzante in auto.
A notare lo stato di Boarnà furono il figlio e la nuora del 41enne, mentre rientravano alla loro roulotte.
I due accompagnarono la vittima in ospedale, ma non ci fu nulla da fare.
Boarnà morì dopo tre giorni di agonia. I carabinieri, indagando e raccogliendo diverse testimonianze, scoprirono che la vittima aveva sposato una donna che aveva avuto una relazione con l’imputato, che il giorno dell’omicidio Tajkunovic si era presentato a casa di Boarnà e aveva iniziato a sparare contro l’abitazione, intimando a quest’ultimo di salire in auto, e che dopo il ferimento si era recato al Policlinico Casilino con una ferita da arma da fuoco al braccio destro.
Per gli inquirenti il colpo era partito durante un litigio, ma non si era trattato di un colpo accidentale né di legittima difesa: il 41enne ha sparato per uccidere e poi, iniziate le indagini, si è dato alla latitanza.
Per la Cassazione non vi è dato probatorio oggetto di travisamento. E poco importa se il movente sia legato alla gelosia, alla mancata attuazione di un precedente accordo su un matrimonio simulato o altro. Sentenza confermata dunque e condanna definitiva.