Le armi sequestrate il 9 dicembre scorso dai carabinieri nel parcheggio dell’ospedale “Fiorini” di Terracina erano perfettamente efficienti, una era anche stata realizzata assemblando due armi diverse ed era ugualmente funzionante, e alcune erano state utilizzate in una rapina compiuta a Velletri, ma su quei fucili e quelle pistole non vi sono tracce biologiche degli indagati.
Questo quanto emerso dalla perizia compiuta dal Ris sull’arsenale, in parte frutto di furti messi a segno a Fondi, Terracina, Fiumicino, Viterbo e Sant’Arcangelo di Romagna, compiuta nell’ambito dell’incidente probatorio disposto dal gip Pierpaolo Bortone. Mancano ora gli accertamenti sulle impronte digitali.
L’inchiesta del sostituto procuratore Marco Giancristofaro, diretta a stabilire chi e perché si fosse procurato un mitragliatore, tre pistole, due fucili a pompa, due fucili semiautomatici, un revolver, tre ordigni esplosivi, due rotoli di miccia, 582 grammi di polvere esplosiva e 279 munizioni, diventa tutta in salita.
Il 51enne terracinese Ugo Pioli è stato arrestato a gennaio e messo in carcere, come uno dei detentori di quelle armi, sulla scorta soprattutto di alcune immagini catturate dalle telecamere di sorveglianza.
Ma oltre alle dichiarazioni fatte nel corso degli interrogatori non sono emerse prove a carico degli altri indagati, i terracinesi Lidia Di Girolamo, di 69 anni, Claudia Cervoni, di 32 anni, e Piero Casasanta, di 45 anni. Non sono arrivate, come credevano gli inquirenti, dalle indagini balistiche, chimiche e biologiche. Casasanta, difeso dall’avvocato Maria Antonietta Cestra, ha contestato anche i prelievi a lui fatti di Dna. Un rebus.