Si tratta di una grande gabbia trappola che doveva servire, nel territorio comunale di Castelforte, ad attirare i cinghiali. Nei pressi, così come diffuso dalla stampa, anche lacci-cappio in metallo adibiti sempre alla cattura di animali selvatici.

Sulla vicenda interviene nuovamente il CABS, l’associazione di volontari specializzati in antibracconaggio, che fa notare come quest’ultimo ritrovamento è il terzo in poche settimane che avviene in provincia di Latina.
Fondi, Parco Regionale dei Monti Aurunci ed ora Castelforte. “Un uso talmente spregiudicato e diffuso – ha affermato il CABS – da far riflettere sulla reale motivazione che spinge alla cattura dei cinghiali. Tali mezzi di caccia illegale – hanno aggiunto i protezionisti – non sono di certo alla portata di tutti. Una gabbia di due metri in rete elettrosaldata non è di certo facile da costruire”.

I cinghiali intrappolati avrebbero fatto una brutta fine. Per quelli rimasti al “laccio” si sarebbe inoltre prospettata una morte lenta e dolorosa che, in alcuni casi, può essere preceduta dall’autoamputazione dell’arto bloccato dal cappio metallico. Più l’animale cerca di scappare terrorizzato, più la trappola stringe causando, se al collo, il soffocamento o la rottura del diaframma se cinge l’addome.
Il CABS auspica un inasprimento delle pene previste per i reati di bracconaggio. Di fatto sono tutti puniti con semplici reati di contravvenzione. “Occorrerebbero – ha concluso il CABS – reati delitti così come già previsto per i reati di maltrattamento di animale”.