Doppio giudizio dopo l’inchiesta “Alba Pontina”.
Al via anche il processo per gli otto imputati che hanno scelto il rito abbreviato e dunque di essere processati allo stato degli atti messi insieme dalla Dda capitolina, dopo le indagini della squadra mobile di Latina sulla presunta associazione per delinquere di stampo mafioso costituita dai Di Silvio di Campo Boario.
La prima udienza è stata celebrata davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Annalisa Marzano, che dovrà pronunciarsi sui fratelli Samuele, Gianluca “Bruno” e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, su Daniele “Canarino” Sicignano, Valentina Travali, Mohamed Jandoubi, Hacene “Hassan” Ounissi e Gianfranco Mastracci.
A costituirsi parte civile sono stati il Comune di Latina, la Regione Lazio e l’associazione “Caponnetto”.
Il giudice ha quindi stabilito un calendario delle udienze per le discussioni dei pm, dei legali di parte civile e dei difensori. E la sentenza è attesa per il prossimo 19 luglio.
Il mese scorso, a Latina, è invece iniziato il processo agli altri imputati, per cui è stato disposto il giudizio immediato e che hanno deciso di non chiedere riti alternativi.
Sotto accusa nel capoluogo pontino Armando “Lallà” Di Silvio, la moglie Sabina “Purì” De Rosa, Federico Arcieri detto “Ico”, Angela detta “Stella”, Genoveffa Sara e Giulia Di Silvio, Francesca “Gioia” De Rosa, Tiziano Cesari e l’apriliano Daniele Coppi.
Secondo l’Antimafia di Roma, i Di Silvio di Campo Boario avevano costituito un’associazione per delinquere di stampo mafioso e un’organizzazione criminale impegnata nel traffico di cocaina, marijuana e hashish, compiendo numerose estorsioni con modalità mafiose ai danni di imprenditori, commercianti, commercialisti e avvocati, infiltrandosi nelle competizioni politiche e ricorrendo a intestazioni fittizie di beni.
Era metà giugno dell’anno scorso quando, su ordine della Dda, la Polizia arrestò 25 esponenti e gregari del presunto gruppo criminale.
Un blitz compiuto dopo aver analizzato un alto numero di intercettazioni, cercato riscontri alle denunce presentate dalle presunte vittime, fatto appostamenti e sfruttato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese, figlio del capo rom Costantino Cha Cha Di Silvio, e Riccardo Agostino.