Lo scrittore Antonio De Luca e il pittore Mario Tarchetti

Riceviamo dallo scrittore ponzese Antonio De Luca e pubblichiamo:

Dagli anni ’60 fino agli anni ’90, l’isola di Ponza fu frequentata e vissuta, con amore e rispetto, da una moltitudine di artisti. Scrittori, uomini di cinema, pittori e qualche bohemien, ne fecero il loro asilo. La Piazza Pisacane e il Corso si presentavano con la raffinatezza di una primitiva eleganza, così erano il porto e le spiagge della Caletta, Sant’Antonio e del Frontone.


L’isola dava l’impressione, con la sua bellezza naturale e perbene, di voler essere non da meno alla raffinata Positano e alla Capri dei viaggiatori degli ultimi secoli.

In Piazza Pisacane si incontrava Elsa Morante, fresca del Premio Strega, con L’isola di Arturo, e Alberto Moravia, Anna Magnani con la famiglia, Federico Fellini, e così tanti altri del mondo della cultura.

La Piazza borbonica, intitolata giustamente al rivoluzionario Carlo Pisacane, non aveva nulla da invidiare a quella di Capri. Tra questi artisti voglio ricordare il pittore Carlo Fontana, la grande scultrice Ursula Querner, che sulla sua casa-laboratorio dello scoglio della Ravia, ci portò tra gli altri, Giacomo Manzù e Oskar Kokoschka, e l’artista Mario Tarchetti che sulla costa di Frontone costruì il suo rifugio bohemien.

Dopo aver vissuto una intensa vita, tra Parigi, New York e Roma, agli inizi degli anni ’60 Mario Tarchetti si ritira a Ponza. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nel 1985 e frequentarlo fino al 1989, anno in cui si ritirò definitivamente a Roma. Ma ho avuto anche la fortuna di abitare per 10 anni nella sua casa- rifugio di Frontone, fino al 2000.

L’approfondimento dell’amicizia con Mario Tarchetti avvenne durante la nascita e la gestione del Winspeare Club, un locale che avevo partorito nelle mie vicissitudini esistenziali tra Milano e Vienna e realizzato alla Banchina del porto come un ritrovo per artisti, uomini e donne sole, viaggiatori e musicisti, insomma gente di ogni altrove, viaggiatori provenienti da ogni fine del mondo.

A Mario piacque subito il restauro del vecchio magazzino borbonico. Mi disse che gli ricordava un locale della villa di Adriano a Tivoli, ma anche un vecchio locale ai quartieri spagnoli di Napoli, che fu sede degli ingegneri e architetti di Napoli nel dopoguerra, dove lui fece la prima esposizione insieme a quei pittori del Gruppo Sud.

Il colore con cui feci dipingere la volta del Winspeare, “per lui era lo specchio degli occhi della fidanzata di Amedeo Modigliani”. Era curioso, voleva sapere da me come fossi riuscito ad arrivare a quella tonalità e con quali prodotti.

L’attenzione all’architettura, ai colori, e alla scenografia del Winspeare, addirittura della porta d’ingresso e delle finestre laterali, ricordavano a Mario il locale di Napoli nel dopoguerra in cui lui e tutto il Gruppo Sud, esponevano. Questo mi ispirò a integrare alle varie offerte esistenziali del Winspeare anche la pittura. Infatti organizzai esposizioni di artisti di strada, surrealisti e impressionisti, concerti jazz e presentazioni di libri.

Con Mario arrivammo ad una amicizia che ci permise addirittura di confidarci amori e segreti. Infatti un giorno, si presentò con una copia della sua sceneggiatura per un film, mai realizzato, scritta a New York. Me la regalò, e ne custodisco la reliquia.

Mario Tarchetti nasce ad Aieta, un paesino calabro a stretto confine con la Campania nel 1910. Dopo le scuole superiori a Cosenza , nel 1927 si trasferisce a Napoli dove studia all’Accademia di Belle Arti. Nel 1929 va a vivere a Roma e inizia a lavorare come disegnatore e pittore, collaborando alla decorazioni della Quadriennale Nazionale d’Arte del 1931. E’ in quella Roma, mi disse una sera al Winspeare, quando gli feci leggere le mie poesie, che incontrava assiduamente al Caffè Greco, Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli.

archetti amava la poesia e leggendo le mie poesie mi disse che tutto il mio linguaggio e l’azione “rifletteva un acerbo surrealismo”. In alcuni miei versi lui scovava un “primitivismo giacomettiano”.

Parlavamo di Napoli, della sua del dopoguerra, e della mia degli anni ’70, in cui si condivideva interessi culturali comuni. Mi parlava della sua scuola delle Belle Arti vicino al Museo nazionale di Archeologia e mi raccontava delle sue esperienze di studente che si formava in quell’Italia piena di speranze e fervore culturale.

In seguito Mario Tarchetti si trasferì a Parigi e qui frequentò Pablo Picasso e Amedeo Modigliani. I quali influenzarono molto la sua pittura.

Quando Mario mi stringeva la mano immaginavo, attraverso quel contatto, di stringere le mani a quei due geni e per un attimo mi immergevo con l’anima e col corpo in quella Parigi capitale della cultura nel mondo. Era una sensazione che mi metteva molto entusiasmo, e mi dava va la carica per vivere la mia Ponza.

A Parigi Tarchetti fece anche una importantissima esperienza presso la casa di moda Rochas: disegnava per i sarti della casa parigina. In effetti Mario era un esteta e si vedeva in tutto quello che faceva, sempre con grande stile ed eleganza; il suo modo di vestire era sempre impeccabile in ogni occasione e in ogni stagione.

A Ponza in estate vestiva di bianco con un foulard rosso al collo, lasciava una scia di profumo al suo passaggio che uomini e donne seguivano ammirati.

Nel 1935 ritornò a Roma e riprese a frequentare gli ambienti artistici della città. Vinse una borsa di studio che gli permise di iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematografia. Durante la seconda guerra mondiale, andò come regista nel 13° Nucleo Cinematografico del Comando Supremo.

Dopo la guerra Mario Tarchetti rimase orfano di tutto e di tutti. Mi disse di essere rimasto assolutamente solo, senza più affetti e protezione. Il suo paese nel 1943 fu completamente distrutto dai bombardamenti alleati. E della sua casa e della famiglia aveva trovato un pugno di cenere e macerie.

Non si diede per vinto e ritornò a vivere a Napoli, dove per sbarcare il lunario si improvvisò sommozzatore al porto. Mario Tarchetti mi raccontava queste intime storie come se le stesse raccontando ad un fratello minore e questo mi commuoveva. Sono stato amico dell’uomo che è passato dai salotti parigini, dai successi in pittura e in amore nel mondo alle umiliazioni del dopoguerra. Ma sempre sapeva raccontarsi con il sorriso e la dignità di un uomo saggio.

A Napoli Mario Tarchetti fa l’insegnante alla scuola inglese e inizia a frequentare quelle persone che nella città partenopea misero i semi per la rinascita sociale e culturale della città.

Nel 1947 fa il suo esordio il Gruppo Sud, un gruppo di pittori napoletani al Circolo Ingegneri e Architetti, che con una mostra di pittura getta le basi di un nuovo corso, una nuova idea di pittura. Non più i vedutisti della scuola di Posillipo, ormai divenuti di maniera. L’importanza del Gruppo Sud di Napoli nella formazione artistica di Mario Tarchetti è palese, ma è anche palese quello che Mario porta in questo ambiente. Tutta la sua esperienza parigina entra a far parte del bagaglio artistico del Gruppo Sud e ne condiziona l’opera. Il gruppo Sud nasce nel 1940 e rappresenta l’Avanguardia della pittura napoletana. Questi erano Renato Barisani, Gennaro Borrelli, Renato De Fusco, Vera De Veroli, Alfredo Florio, Raffaele Lippi, Vincenzo Montefusco, Paolo Ricci, Mario Tarchetti, Guido Tatafiore, Antonio Venditti ed Elio Waschimps. Questo gruppo di pittori erano legati al giornale Sud. Il Sud era una rivista culturale nata grazie a Pasquale Prunas nel 1945. Di questa rivista, facevano parte tra gli altri persone come Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Vasco Pratolini, Domenico Rea, Rocco Scotellaro, Antonio Ghirelli, Giuseppe Patroni Griffi, Maurizio Barendson ed Ennio Mastrostefano. Questi uomini tutti furono colonne portanti di un auspicato risorgimento napoletano del dopo guerra. E inoltre tutti questi hanno contribuito in maniera decisiva e rilevante alla cultura nazionale e non solo. E il pittore, l’uomo Mario Tarchetti fu uno di questi.

Nella pittura di Mario Tarchetti si riscontra l’Espressionismo dell’Ecole de Paris e della Scuola Romana, soprattutto nelle tematiche della descrizione degli ambienti napoletani del dopoguerra. Nei ritratti Mario Tarchetti mostra l’influenza picassiana. Ed è matissiano nei nudi, dove vive tutta l’esperienza parigina.

In questi anni Mario Tarchetti collabora anche con l’amico Corrado Alvaro, come critico d’arte al quotidiano Risorgimento. Nell’estate del 1948 partecipa alla Mostra Contemporanea di Arti Figurative e vince un premio che gli viene consegnato proprio dall’amico Giuseppe Ungaretti.

Allo scioglimento del Gruppo Sud, Napoli gli sta stretta, ritorna a Roma e conosce Roberto Rossellini e Federico Fellini. Con Rossellini collabora come attore e sceneggiatore in Stromboli, terra di Dio. Con Fellini gira 8 ½. I due a Ponza si frequentano durante le riprese di Satyricon dove Tarchetti vive con la sua amante nel rifugio marino di Frontone.

Nel 1970 va a vivere a New York, qualcuno dice per amore. Qui entra nell’editoria della Pochet Books Inc. e scrive sceneggiature. Ed è qui che scopre il suo amore per l’isola di Ponza, “pura, primitiva e selvaggia”, come ebbe a dirmi. A Ponza rimane fino al 1990, come scrive Paolo Guzzanti in una intervista per Repubblica.

Nel 2017 la Galleria d’arte Blu di Prussia in via Filangieri a Napoli ritorna a dedicare un’ampia retrospettiva a quelli del Gruppo Sud e Mario Tarchetti è presente con alcune sue opere provenienti da collezioni private.

Voglio concludere con due ricordi che ho di Mario Tarchetti. Quello di una sera inaspettata al Winspeare, trascorsa insieme al compositore e direttore d’orchestra canadese Howard Shore e alla moglie la scrittrice Elizabeth Cotnoir. I due erano venuti a Ponza per sposarsi ed io ero stato fotografo e testimone. Howard Shore era il musicista di Martin Scorsese e di David Cronenberg, aveva suonato con Thelonius Monk ed era amico di Ornette Coleman, due icone del jazz che io amavo particolarmente. Shore ha vinto tre Oscar per la colonna sonora, tra vari Grammy Awards e Golden Globe. Inoltre ha una Laurea Honoris causa all’università di Toronto, in lettere. Ma la cosa che più ci affascinava a me e Mario fu quando Howard ci raccontò che, essendo amico di John Belushi e Dan Aykroyd, lui stesso diede il nome al film The Blues Brothers. Mario raccontò di alcuni retroscena durante la lavorazione del film di Rossellini, quando scoppiò l’amore tra il regista e Ingrid Bergman.

Nel 2001 finì la ristrutturazione della casa dei miei nonni a Ponza, dove ritornai a vivere, dopo una parentesi a Roma. Una donna che aveva frequentato la casa di Mario Tarchetti in Piazza di Spagna a Roma, mi venne a fare visita e disse. “Ti sei fatto la casa come quella di Mario Tarchetti”. Stessi libri, stessa musica, stessa polvere, stesso caos, poeti dappertutto, panni e fidanzate sparse qua e là sopra pavimenti impolverati di sabbia e consunti di passioni. “Alla fine è quello che volevi”.

Andò proprio così, perché io avevo conosciuto il vero Mario Tarchetti, un uomo che aveva attraversato la vita.