Mannaia sui “fannulloni” al Comune di Fondi: due licenziati

Da quello mai rientrato da un soggiorno ai Caraibi, al presunto furbetto del cartellino (ma del tutto a sua insaputa, sostiene). Al Comune di Fondi è stretta contro i cosiddetti “fannulloni” del pubblico impiego: al termine di due differenti iter si è dato luogo ad altrettanti licenziamenti, appena messi nero su bianco tramite determinazioni del dirigente del settore Risorse umane, Tommasina Biondino.

Casi diversi, che hanno visto finire alla porta dipendenti in Municipio da svariati anni, al servizio di comparti differenti. Non fannulloni in senso proprio, molto probabilmente, per il Comune di sicuro in termini di legge. Ed eccoli dunque prima alle prese con l’ufficio procedimenti disciplinari, poi con la messa alla porta «per giusta causa». Rapporto di lavoro finito. Al netto dei pronunciamenti della magistratura: si prevedono carte bollate, con almeno uno dei due pronto a dar battaglia contro le decisioni della macchina amministrativa che lo ha appena fatto fuori dal proprio ingranaggio.


Quali sono i casi finiti sotto la lente d’ingrandimento, portando infine all’allontanamento da Palazzo? Il primo riguarderebbe un dipendente che da mesi aveva salutato la casa comunale per un po’ di riposo all’estero. Volo transoceanico verso il caldo Mar dei Caraibi andato a buon fine, dicunt; sul ritorno non v’è certezza. Ciò che è sicuro, è che il suo posto di lavoro è rimasto vuoto. Così a lungo che, esauriti i giorni di ferie e malattia senza più palesarsi oltre la soglia del Comune per riprendere servizio, alla fine quel posto è sfumato. Al termine di un procedimento andato avanti mesi, dopo la sospensione dello stipendio è stato dichiarato assente ingiustificato e licenziato.

Ben più snella la procedura a cui è andato incontro il secondo dipendente sul quale è calata la mannaia dell’ente. Situazioni di molto differenti, del resto. A lui il cartellino rosso dal Comune è arrivato perché presentatosi in ritardo. Pur risultando presente. Una storia particolare e dai contorni contestati: l’uomo, dicono le ricostruzioni valutate dal collegio disciplinare, in sua assenza si era visto timbrare il cartellino da una collega.

Episodio isolato, emerso nell’ambito di un appello mattutino. Un occhio al database interno, uno alle presenze effettive, era in corso uno dei periodici accertamenti fatti a quattro mani da ente e polizia locale. L’impiegato risultava al lavoro, ma sarebbe invece arrivato a controllo in corso, con una differita di una manciata di minuti. Peccato veniale, magari, eppure tale da costare a norma di legge l’avvio di una procedura disciplinare lampo. In ossequio alla riforma Madia in tema di pubblica amministrazione, linea dura e portata avanti senza alcuna discrezionalità. Licenziato anche lui. Nulla è dato sapere riguardo la posizione della presunta complice: sì collega, ma in forza a una società esterna, andrà incontro a un procedimento disciplinare da parte dell’effettivo datore di lavoro.

Nessun commento dai piani alti dell’amministrazione comunale a margine della stretta appena ratificata dalle determinazioni del dirigente del primo settore, atto finale. Silenzio con molta probabilità legato a una circostanza: dietro l’angolo, come anticipato in apertura, si preannunciano aspri contenziosi legali. Ogni mossa o parola, davanti a un giudice potrebbe avere un qualche peso. Anche perché in questo caso il presunto assenteista è di certo pronto a far valere le proprie ragioni. Di fronte alla contestazione dell’illecito disciplinare che ha portato al taglio, l’intenzione è quella di ricorrere dinanzi al Tribunale del Lavoro.

E se è ovvio che il benservito sia stato mal digerito, per chi non conosce le pieghe della vicenda non può essere altrettanto ovvia la motivazione: l’impiegato si è detto «completamente ignaro» rispetto agli addebiti sulla falsa attestazione della propria presenza tramite escamotage. Lo spiega l’avvocato Luigi Fortunato, che lo ha assistito in sede di audizione davanti l’apposita commissione comunale. Occasione in cui il lavoratore ha disconosciuto le ricostruzioni sin lì effettuate sulla base di affermazioni di terzi, dichiarando tra l’altro di non aver mai autorizzato chicchessia a timbrare per lui. No, a suo dire quel cartellino non era stato “delegato”. Una verità alternativa che, considerando gli esiti, non ha scalfito le sicurezze della commissione disciplinare. Cosicché, in rapida successione, ecco sospensione d’ufficio dal servizio e della retribuzione, fino all’epilogo costituto dalla presa d’atto dirigenziale culminata col licenziamento. A meno di improbabili dietrofront, la parola ora passa al tribunale.