Estorsioni, droga, elezioni “inquinate”: l’identikit della nuova mafia rom

Quarantasette capi d’accusa, ventinove indagati, venticinque arrestati, di cui ventuno in carcere e quattro a piede libero. Numeri notevoli quelli dell’inchiesta “Alba Pontina”, che per la prima volta ha visto contestare a un gruppo criminale del capoluogo pontino l’accusa di essere un’associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo la Dda di Roma, Armando “Lallà” Di Silvio, i figli Ferdinando Pupetto, Samuele e Gianluca, la moglie Sabina De Rosa, Renato Pugliese, figlio di Costantino Cha Cha Di Silvio che poi diventerà collaboratore di giustizia, Agostino Riccardo e Federico Arcieri avrebbero dato vita all’organizzazione mafiosa, con Campo Boario come quartier generale, e avvalendosi “della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva”, avrebbero compiuto reati con l’obiettivo di “acquisire in modo diretto e indiretto la gestione di attività economiche”, di “realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri” e di “procurare voti ad altri in occasione di consultazioni elettorali, acquisendo il controllo delle attività di propaganda”. Per gli inquirenti, Lallà, i tre figli, la moglie, Pugliese, Riccardo, Arcieri, Francesca De Rosa, Angela, Genoveffa e Giulia Di Silvio avrebbero inoltre costituito un’organizzazione criminale dedita al narcotraffico, facendo affari con cocaina, marijuana e hashish. Contestate quindi una serie di estorsioni con modalità mafiose ai danni di imprenditori, commercianti, avvocati e commercialisti, alcune con mandanti anche altri imprenditori che intendevano recuperare dei crediti. Estorsioni che sarebbero state caratterizzate “dalla prospettazione di ritorsioni alle vittime in chiave plurale, della spendita del nome del clan quale segno di appartenenza al sodalizio, dal riferimento ai gravi precedenti giudiziari degli appartenenti al gruppo per coartare la volontà delle vittime, dalla rappresentazione della destinazione delle somme coattivamente riscosse per il sostentamento dei detenuti, dall’affermazione del potere di riscossione in quanto derivante dal controllo del territorio”. Un’inchiesta frutto di una serie di accertamenti compiuti dalla squadra mobile di Latina, in collaborazione con lo Sco.

IL QUADRO


“È emersa – specifica il gip Antonella Minunni nell’ordinanza di custodia cautelare – l’esistenza di due organizzazioni criminali dedite alla commercializzazione di sostanze stupefacenti nel capoluogo pontino, operanti in base ad un tacito accordo e a una pacifica ripartizione del territorio. I due gruppi, uno denominato Cha Cha-Travali e uno Di Silvio di Campo Boario, hanno agito in perfetta sintonia sino alla compromissione dell’operatività del primo di essi, a seguito dell’arresto dei suoi capi e sodali, e quindi alla conseguente espansione del predominio del gruppo Di Silvio in zone da tempo sottoposte al controllo dei Travali. Da qui la transizione di Riccardo e Pugliese dal gruppo riferibile ai fratelli Travali al gruppo Di Silvio di Campo Boario, il cui maggiore esponente è sicuramente Armando Di Silvio detto Lallà, unitamente ai figli Samuele, Gianluca e Ferdinando Pupetto. La presente organizzazione si è imposta sul territorio pontino con modalità tipiche delle associazioni mafiose, sia per le caratteristiche, intrinseche ed estrinseche, che del qualificato contesto criminale di appartenenza, impegnato principalmente in due settori, quello delle estorsioni e quello degli stupefacenti”.

IL PENTITO
A pesare nelle indagini sono state le dichiarazioni di Pugliese, diventato collaboratore di giustizia il 28 dicembre 2016, dopo essere stato arrestato proprio per una delle estorsioni contestate in “Alba Pontina” insieme a Riccardo e ai fratelli Ferdinando Pupetto e Samuele Di Silvio. Un pentito la cui credibilità, secondo gli inquirenti, è “fuori discussione”, riferendo tra l’altro di vicende in cui sarebbe stato personalmente coinvolto e oggetto di “una cospicua serie di riscontri”. Pugliese sulla presunta associazione mafiosa: “Gianluca, Samuele e Ferdinando sono persone molto pericolose, gente che ha premuto il grilletto, quando queste persone si sono messe insieme sono diventati fortissimi, nessuno si sarebbe messo contro di loro, le loro zone di influenza erano Campo Boario e via Filippo Corridoni. Armando è sempre stato a conoscenza di tutte le attività estorsive”. Di più: “A Latina la presenza di uno dei figli di Armando Di Silvio intimidisce e nessuno è in grado di opporre resistenza a qualunque forma di richiesta di denaro, di sconti, o altro, che provenga da loro. Agostino portava la storia, ossia indicava la persona alla quale dovevano essere chiesti i soldi, e Armando decideva quale dei suoi figli inviare per imporre la richiesta”.

LE ESTORSIONI

Gli indagati avrebbero mostrato particolare ferocia nelle estorsioni, andando a colpire anche soggetti inseriti in un contesto criminale, come Stefano Trotta, al centro di mille indagini su “bidoni” rifilati alle assicurazioni e soprattutto sull’appropriazione di ingenti somme dovute alle vittime di sinistri. Proprio reclamando il denaro di un’infortunata, al perito avrebbero detto: “A Latina comandiamo noi. Stanotte uccidiamo te e le tue bambine”. Relativamente a un’altra estorsione a un imprenditore di Sonnino, Pupetto dice: “A noi ci deve dare cinquantamila euro, altrimenti non ce la prendiamo con le donne noi…perché siamo uomini d’onore…però Gigi si fa male…una nove intesta non gliela toglie nessuno…un caricatore della nove in testa non glielo toglie nessuno”. Sempre Pupetto: “Faccio vedé stasera puglio il ferro, te faccio vedé, te faccio”.

LE MOTIVAZIONI DEGLI ARRESTI

Nel disporre gli arresti, il giudice per le indagini preliminari Minunni ha precisato che si tratta di soggetti “con potenzialità criminali davvero eccezionali e con elevate professionalità nell’agire”. Armando Di Silvio viene indicato come un uomo dalla “caratura criminale davvero eccezionale, il capo”. Pupetto come un soggetto che “ricorre con estrema facilità alla violenza”, Samuele come “centrale nei contesti associativi oggetto di contestazione” insieme al fratello Gianluca, Riccardo come un uomo dalla “spiccata capacità a delinquere”. Sempre per il gip, Sabina De Rosa è poi “inserita strutturalmente nelle attività criminali degli associati”, Arcieri è “persona di fiducia a disposizione della consorteria”, Genoveffa Sara e Angela Di Silvio come “partecipi dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti”, attività portate avanti anche da Francesca De Rosa e Giulia Di Silvio, mentre Daniele Coppi avrebbe favorito l’organizzazione nell’intestazione fittizia di beni. Massimiliano e Daniele Alfonsi, imprenditori di Monterotondo, avrebbero invece ingaggiato l’associazione mafiosa per estorcere denaro a un imprenditore di Sonnino, mostrando di conoscere bene “la pericolosità degli appartenenti a quello che loro stessi definiscono come un clan”. Nello spaccio, il gip evidenzia poi, il forte coinvolgimento di Daniele Sicignano. E sempre il giudice evidenzia una “non comune capacità a delinquere” da parte di Mastracci, l’abitualità alle condotte illecite di El Gayesh, la “spiccata capacità a delinquere” di Valentina Travali, lo spaccio di droga scelto come professione da Mohamed Jandoubi, da Hacene Ounissi e Matteo Lombardi. Sottolineate infile le “spiccate doti delinquenziali” di Antonio Fusco, di Gianluca D’Amico, il contributo alle attività di Riccardo della compagna Francesca Zeoli e l’impegno nello spaccio di droga di Tiziano Cesari.