Il vescovo-barone e la truffa milionaria ai risparmiatori: l’organizzazione ha colpito anche in provincia di Latina

Fondi esteri, sequestri per decine di milioni di euro. E un uomo dalle mille sfaccettature. Organista, maestro di musica, (autoproclamato) vescovo, preteso nobile d’origine britannica, imprenditore, broker. Ma anche truffatore, per gli investigatori: a capo di un’organizzazione artefice di un maxi-raggiro che negli anni ha visto depredare i risparmi di oltre 300 persone in mezz’Italia. Non mancando di mietere vittime anche in provincia di Latina: nella rete sono finite pure quattro persone residenti a Formia. Tutte raggirate da un gruppo di cui, dicono gli investigatori, reggeva saldamente le redini un uomo di origine capitolina, Massimiliano Muzzi. Forse più noto in altra maniera. Piuttosto altisonante: Max di Ventimiglia of Strichen, “XVII Barone di Strichen”, in Scozia. Oppure come “Vescovo monsignor Massimiliano di Montecristo, Abate di San Martino”, avendo fondato nel 2016 l’abbazia di San Martino, comunità monastica della Chiesa Cattolica Ortodossa Ecumenica confluita nella Chiesa Italiana Ortodossa Autocefala. Venerdì mattina il vescovo-barone è finito in manette con destinazione Regina Coeli, colpito da un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Roma nell’ambito dell’operazione “Mediterraneo”, firmata dai finanzieri del Nucleo speciale di Polizia valutaria. Nei confronti di don Max – unico arrestato – e di altre quattro persone, un decreto di sequestro preventivo per equivalente  da 72 milioni di euro complessivi. 

Il vescovo-barone

“Le indagini – spiegano dal Comando generale delle Fiamme Gialle – traggono le mosse da un’attività ispettiva svolta nel 2014 dalla Consob, in collaborazione con la Guardia di Finanza, nei confronti di alcuni promotori finanziari che offrivano investimenti gestiti dall’impresa inglese Lux Finance Ltd”. Un’impresa risultata a quanto pare riconducibile a Muzzi. “Dalle prime verifiche erano subito emerse numerose incongruenze sull’attività dei promotori e sulla effettiva destinazione degli investimenti, soprattutto in riferimento ai reiterati tentativi del responsabile di sottrarsi alle richieste di informazioni della stessa Consob sull’effettiva attività esercitata dal medesimo. A seguito di successivi approfondimenti, conseguenti al radicamento di un procedimento penale coordinato dalla Procura della Repubblica di Roma, il Nucleo speciale di Polizia Valutaria ha accertato, in capo alla figura del professionista, la presenza di una solida organizzazione criminale che, avvalendosi della sua ampia rete di promotori, aveva in realtà posto in essere una frode di rilevanti dimensioni: grazie allo schermo offertogli dalla società inglese e utilizzando l’operato dei suoi collaboratori, egli era riuscito a raccogliere, presso una folta platea di risparmiatori, una considerevole mole di risorse finanziarie, con la promessa di destinarle ad investimenti molto redditizi nel comparto mobiliare”.


Stando agli esiti dell’inchiesta il principale indagato è così “riuscito a drenare dai risparmiatori decine di milioni di euro fatti confluire – in molti casi anche contro la volontà dei titolari – su due fondi di diritto estero – denominati Pegasus Royal e Pegasus Gold– e poi accreditati su conti correnti accesi presso la Investec Bank delle Isole Mauritius al medesimo riconducibili”. Le indagini, infatti, “hanno permesso di appurare come i due fondi fossero del tutto fittizi e creati ad arte dal capo dell’organizzazione”, dicono ancora le Fiamme Gialle. “Come dimostrato dalle svariate denunce raccolte dai clienti, questi ultimi si sono nel tempo trovati nell’impossibilità di recuperare i loro investimenti. La prosecuzione degli approfondimenti investigativi ha infine confermato come in verità il professionista avesse distratto di volta in volta tutte le somme raccolte dai fondi per poi reimpiegarle, almeno in parte, in attività economiche riconducibili a lui ed ai suoi prestanomi”.

I proventi illeciti sarebbero stati utilizzati per finanziare numerose attività imprenditoriali da lui gestite, “quali una grossa azienda agricola in provincia di Arezzo ed un’associazione teatrale con sede in un’antica abbazia vicino Todi”, dove ha sede la comunità religiosa di cui è principale esponente. Dalle pieghe delle indagini è inoltre emerso che il nominativo di Max of Strichen, secondo l’interessato giustificato da presunte ascendenze nobiliari, “è stato peraltro utilizzato anche al fine di nascondere la reale riconducibilità a lui stesso di alcune società estere con cui aveva schermato i proventi illeciti”. Nell’ambito dell’operazione “Mediterraneo” sono state denunciate in tutto nove persone, accusate dei reati di associazione a delinquere finalizzata all’abusivismo finanziario, ostacolo alle Autorità di vigilanza, truffa, riciclaggio ed autoriciclaggio.