(Foto da archivio: manifestazione a Fondi del 2016)
Seppur non è la fine di un’annosa questione, ne segna un passaggio fondamentale. Frits Bolkestein, l’ormai 85enne ex commissario europeo afferma in modo inequivocabile: “La direttiva – parliamo di quella che porta il suo nome – non si applica agli stabilimenti balneari”.
La questione annosa rimbalza sui principali media nazionali con articoli di approfondimento che riportano virgolettato dopo virgolettato la posizione dell’ormai ex politico olandese. Come fa ad esempio il Sole 24 Ore, che spiega – sempre attraverso le parole di Bolkestein – come “Le concessioni balneari sono beni e non servizi”.
Anche in territorio pontino, come in tante altre parti d’Italia si sono rincorse e perpetrate riunioni di categoria, proteste pubbliche e incontri con esponenti politici ad ogni livello, per scongiurare che una concessione che scadesse in tempi troppo brevi per riuscire ad ammortizzare gli investimenti. Tanto è stata messa sotto accusa la direttiva Bolkestein, quanto le accuse ad un’Europa che non sa guardare alle peculiarità dei territori, troppo spesso chiusa nei palazzi ad immaginare un quadro generale e non particolare.
Quindi tutto bene quel che finisce bene? Non proprio, perché seppur l’ormai ex commissario europeo per il Mercato interno ha chiarito, forse per la prima volta in Italia, alcuni aspetti chiave di quell’atto avente forza di legge, ne ha evidenziato una visione politica ma non giuridica. A dirlo, pare sia stato lui stesso. Perché effettivamente, al di là di quella che è la visione del tanto vituperato Bolkestein, e della direttiva che porta il suo nome, conta poco la sua visione o interpretazione, ma molto di più il valore giuridico che rappresenta l’eredità politica di quell’atto.