“Navigare la rotta”, i versi di De Luca costruiscono ponti tra le due sponde del Mediterraneo

Antonio De Luca

Da Roma a Napoli “Navigare la rotta” continua ad essere al centro del dibattito sul Mediterraneo. Dall’affollatissima fiera del libro all’interno della Nuvola di Fuksas alla prestigiosa sede del museo Hermann Nitsch. L’ultima fatica del ponzese Antonio De Luca, imprenditore e poeta, in un’epoca in cui continuano ad essere innalzati muri vicino a lontano da noi, dove il tema dei migranti infiamma il dibattito politico, è uno strumento di vera unione. Versi d’amore per quell’inestimabile patrimonio di culture diverse rappresentato dalle due sponde del Mediterraneo, che affonda le radici nella cultura greca e la rende straordinariamente contemporanea. Poesie che esaltano la bellezza e la forza inebriante della natura delle coste del nostro mare. Scritte nelle lingue dei popoli del Mediterraneo da sempre uniti più di quello che spesso a troppi è comodo far credere.

De Luca sente la sua poesia e la sua vita alimentate da un paganesimo primordiale, quello che solo gli uomini di mare, cresciuti a vento e sale, avvertono. Un uomo di cultura innamorato di Fernando Pessoa, di Lisbona e delle città in cui continua a peregrinare incessantemente, portando ora nella sua sacca di viaggiatore anche “Navigare la rotta”. Un migrante anche lui. Della poesia e del vivere. Che nell’isola di Ponza ha però sempre il suo approdo sicuro.


“Tutto parte da un’isola. In mezzo al mare, si vede oltre il visibile, si scopre ogni oltre. In mezzo al mare ogni cosa può essere possibile – scrive De Luca – ogni pensiero si fa provvisorio in attesa che arrivi un altro. Il mare è speculativo. Sul mare si vede poco, ma si pensa molto. Sul mare si vede col pensiero. Il Mediterraneo si apre e ci invita a pensare a scoprirlo, quasi come una grande biblioteca. Quest’isola si chiama Ponza, era la fine degli anni ‘80. E poi, sopra quest’isola c’era una casa proprio sulla spiaggia che dominava l’entrata nel porto e l’arrivo delle navi. La casa dei nonni dove vissi fino ai 10 anni. Poi andai a vivere a Napoli. Ricordo che quell’ isola aveva, faceva e dava una grande e bella cultura. Apparteneva al Mediterraneo. Ponza aveva una grande storia contadina e marinara. La trasmetteva ai suoi giovani, anche in modo non volontario, ma quella Ponza voleva bene ai suoi giovani o forse si illudeva di amarli. Ma a noi bastavano le illusioni per essere felici. Anche le illusione alimentano la vita. A Ponza gli uomini di mare, con i loro bastimenti avevano solcato ogni rotta. Noi ragazzi sopra questi bastimenti ci giocavamo, li disegnavamo. Erano materia della prima vita. Quegli uomini di mare hanno fondato paesi e popolati luoghi e isole lungo le coste mediterranee. Rifornivano i mercati della Francia di aragoste attraverso il porto di Marsiglia e quelli spagnoli da Barcellona. Raccoglievano anguille nelle valli di Comacchio e a Prevesa in Grecia per portarle sui mercati del Mediterraneo. Nell’ arte contadina fino a qualche anno fa ci sono stati uomini che appartenevano ad una cultura arcaica tramandata dall’antica Grecia attraverso le colonie di Ischia e delle coste campane. Questi contadini hanno fatto di un territorio cattedrali di muri a secco. Nella casa dei nonni vivevo gran parte del tempo, le loro storie di vita erano le uniche favole che conobbi, quando poi scoprii che erano storie vere, allora la vita entrò nel mondo della realtà. E quelle storie divennero letteratura attraverso Conrad, Melville e Stevenson. Anche ossessioni immaginifiche”.

Ancora: “A Ponza ci tornavo poi durante le estati. Una delle prime cose che mi insegnarono era remare, raccogliere frutti di mare, e poi piantare la vite. Remavo per lunghe distanze, mi piaceva, e la fatica non la sentivo, anzi quei calli alle mani, erano orgoglio. I giocattoli erano solo barche e navi fatti da loro. Con i miei nonni trascorrevo lunghi silenzi. I miei nonni parlavano di cose essenziali e le parole erano appropriate ai pensieri e alle azioni. In quei silenzi la mente concepiva l’aspetto speculativo dell’essere che si andava formando. A volte la casa era un suk, soprattutto durante le feste. Nei mercati oggi mediorientali sento ancora quelle voci e quei profumi. La casa me la porto appresso. Da quest’ isola della mia infanzia iniziai a partire dopo gli anni dell’Università, ma sempre con l’intento di ritornare. Il nostos omerico. Anche se oggi quest’isola mi è distante e non mi appartiene più. Ma i suoi luoghi, e le sue memorie sono sostanza ed essenza delle viscere, del pensiero. I luoghi degli orizzonti dove vivo. Ponza mi ha insegnato a guardare il mare. Ponza mi ha messo il mare nel destino. Il prologo ai poemi omerici, i primi versi. Il mare mi ha spogliato e ha messo a nudo le mie fragilità, il mio essere, ma ha fatto eruttare la mia forza espressiva, la voglia conoscitiva del sentirmi mai straniero in ogni luogo. A Ponza si prendevano le navi e quelle navi a noi bambini ci portavano verso l’ignoto. Non avevamo la coscienza dei porti, del viaggio. Così iniziai a scoprire la bellezza del mistero e il bisogno dell’altro. Ponza divenne il simbolo della libertà. Sopra un’isola il tempo non conta, contano le stagioni, come nella vigna di Cesare Pavese. Ho sempre pensato che il mare non divide ma unisce ed io ho bisogno soprattutto di sentirmi unito agli altri popoli, alle altre razze, ai diversi da me. Nel Mediterraneo non mi sono mai sentito uno straniero. Allora il Mediterraneo con i suoi porti Napoli, Marsiglia, Barcellona, Tangeri, Algeri, Palermo, Beirut, Alessandria, Istanbul, Lisbona, con i suoi popoli, le religioni, i suoni, i colori, le voci, la poesia, le tradizioni mi appartengono. La mia fortuna ha voluto che potessi andare da un luogo dall’altro seguendo il mio istinto senza dar conto a nessuno. Sono fatto di questa materia, il non dare conto a nessuno. Sono la stratificazione di queste culture, di queste conoscenze. Arrivare da un altro luogo e stare insieme a gente prima sconosciuta. Questo luogo mi serve per mantenere le proprie tracce visibili. Il cammino riporta all’essenza. Di fronte all’estraneo si rileva la luce dell’infanzia. A Tangeri come a Lisbona mi sento profondamente accettato”. Quelli di De Luca sono ponti costruiti con la poesia e l’amore per Ponza e il mare che ci circonda.