Nessun beneficio per il parricida. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto l’istanza presentata dai difensori di Cristian Canò, con cui era stato chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali del 23enne di Cisterna che, il 21 dicembre 2012, sulla spiaggia di Latina uccise il padre Gennaro. E tale provvedimento è stato ora confermato dalla Corte di Cassazione.
Il giovane, all’età di 18 anni, a Capoportiere, nel corso di un litigio con il padre uccise il genitore, colpendolo alla testa con una tavola di legno trovata sull’arenile. Riuscì subito a ottenere i domiciliari e, condannato in primo grado a 14 anni di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Laura Matilde Campoli, l’imputato ottenne in appello la riduzione della pena a 8 anni, che la Suprema Corte ha poi portato a sette e mezzo. Inutili i tentativi della difesa di provare a battere sui tasti della provocazione e della legittima difesa. L’accusa di omicidio volontario ha retto. Due anni fa, mentre era all’università, Canò venne quindi prelevato dalla Polizia e condotto in carcere.
I difensori hanno poi chiesto al Tribunale di Sorveglianza di concedere al giovane l’affidamento in prova ai servizi sociali per scontare la pena residua. L’istanza però è stata respinta il 24 febbraio dell’anno scorso e tale provvedimento è stato appunto ora confermato dalla Cassazione, respingendo il ricorso di Canò.
Per i giudici il 23enne “non ha ancora intrapreso un percorso di rivisitazione critica della condotta deviante, necessario anche per la gestione della propria aggressività, tanto che è stata reputata opportuna una prosecuzione dell’osservazione intramuraria con continuazione dei colloqui con l’educatore e lo psicologo, nonché una verifica esterna mediante l’esperienza dei permessi premio”.
Ricorso inammissibile, condanna al pagamento delle spese processuali e versamento di duemila euro alla cassa delle ammende.