“Caronte”, la Cassazione: “Ecco perché era un’associazione per delinquere”

Operazione Caronte

A distanza di nove mesi, la Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha confermato le condanne per 17 imputati nel processo denominato “Caronte”, relativo all’associazione per delinquere costituita dalle famiglie di origine nomade Ciarelli e Di Silvio con l’obiettivo di monopolizzare le attività criminali a Latina. Respinti i ricorsi di Giuseppe Di Silvio, detto Ciappola, Giuliano Papa, Ferdinando Ciarelli detto Furt, Mario Carboni, Gianluca Mattiuzzo, Carmine Ciarelli, Pasquale Ciarelli, Carmine Di Silvio, Andrea Pradissitto, Antoniogiorgio Ciarelli, Ferdinando Di Silvio, detto Pupetto, Simone Grenga, Maria Cristina Di Silvio, Pasquale Verrengia, Antonio Di Silvio, detto Patatino, Giuseppe Di Silvio, detto Romolo, e Mario Esposito. Una sentenza che ha reso definitive condanne per circa 200 anni di carcere.

Gli ermellini hanno ritenuto “manifestatamente infondata” la questione relativa alla composizione del collegio giudicante di primo grado. Infondati poi sono stati considerati i rilievi circa la perizia trascrittiva delle intercettazioni telefoniche e ambientali e l’inutilizzabilità dei relativi risultati probatori.


Per quanto riguarda l’ipotesi della costituzione di un’associazione per delinquere, secondo la Suprema Corte, la sentenza della Corte d’Appello di Roma ha “congruamente argomentato la prova dell’esistenza del sodalizio criminale capeggiato” da Carmine Ciarelli e “non ha operato alcuna confusione o sovrapposizione tra i vincoli di natura familiare esistenti fra gli imputati e la prova del pactum sceleris”, dando correttamente conto “della concorrente presenza, nell’ambito del clan di tipo etnico-familiare di appartenenza dei correi, di una stabile, distinta e autonoma struttura organizzativa dedita alla commissione di una serie indeterminata di delitti, principalmente diretti contro il patrimonio, agevolata e rafforzata nella sua operatività criminale proprio dai preesistenti legami parentali intercorrenti tra gli associati, e ha puntualmente indicato i dati istruttori, emersi dai contenuti dell’attività di captazione, che supportano la prova degli elementi distintivi ed aggiuntivi tipici del reato associativo rappresentati dalla presenza di un accordo stabile e duraturo per la realizzazione di una serie non preventivamente determinata di delitti, al cui perseguimento i singoli partecipi hanno assicurato in modo continuativo la propria disponibilità, con ripartizione dei relativi ruoli, anche di natura verticistica”.