A decidere sulle richieste di rinvio a giudizio degli indagati nell’inchiesta “Narcos”, relativa a un traffico di sostanze stupefacenti tra il Sud America e l’Italia, dovrà essere il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul conflitto di competenze tra il gup di Latina e quello di Civitavecchia.
Monitorando alcune utenze telefoniche, nell’ambito di accertamenti su presunte truffe, i carabinieri hanno ricostruito un presunto traffico internazionale di sostanze stupefacenti con tanto di insospettabili corrieri e contatti diretti con i cartelli sudamericani, finalizzato a rifornire di cocaina le province di Roma e Latina. E nel 2015 vennero eseguite cinque misure cautelari, chieste dal sostituto procuratore Giuseppe Miliano e disposte dal gip del Tribunale di Latina, Guido Marcelli.
Gli inquirenti sostennero all’epoca che a organizzare il traffico di “neve” sarebbero stati Marco Toppi, 47enne di Cisterna di Latina, Marco Bruni, 46enne di Genzano di Roma, e Maurizio Lausi, 38enne di Ardea, messi in carcere, insieme a Paolo Racanicchi, 52enne romano, fratello adottivo di Bruni, e alla moglie del 52enne, Ketty Riccio, 40enne originaria di Velletri, per i quali il gip aveva ugualmente disposto la misura della custodia cautelare in carcere ma che, nell’ambito proprio di uno dei viaggi in Sud America, erano stati arrestati ed erano detenuti nel carcere di Santa Marta Magdalena, in Colombia. Gli inquirenti precisarono inoltre che come corrieri il gruppo avrebbe impiegato anche Marco Mingardi e Pierluigi Cianfriglia, di Anzio, arrestati a Barcellona, e Massimo De Meo e Valentina Sibilio, di Sezze, arrestati in Colombia, a Bogotà. I primi dubbi agli investigatori erano venuti ascoltando delle conversazioni tra Toppi e Bruni, in cui il primo parlava di “cambiali” non “buone”, confermati dalle telefonate sempre tra Toppi e Racanicchi. I carabinieri avevano intuito che per “cambiali” si intendeva cocaina. Al gruppo era infatti spuntato fuori un problema: coprendo la “neve” con una sostanza cremosa, per depistare i controlli dei cani antidroga, la sostanza stupefacente si era impregnata di un cattivo odore e non era più vendibile. Le altre indagini e il monitoraggio dei viaggi in America del Sud compiuti dagli indagati avevano fatto il resto.
Per la Cassazione, anche se la droga sarebbe stata importata facendola sbarcare al porto di Civitavecchia, la competenza a decidere sugli imputati è del Tribunale di Latina, essendo stato messo in piedi il presunto traffico di sostanze stupefacenti a Cisterna.