Quando non si riesce a conquistare il regno anche l’ultimo dei posti a corte vale una battaglia. Deve aver pensato così Enrico Dellapietà quando a giugno, oltre a veder calare il sipario su venti anni di centrodestra a Latina e il civico Damiano Coletta marciare su piazza del Popolo, si è trovato anche senza un seggio, seppur di opposizione, in Consiglio comunale. Fuori dalla porta uno dei potenti di quella che fu la Casa delle Libertà, assessore e consigliere quando a guidare il capoluogo erano Ajmone Finestra e Vincenzo Zaccheo, e poi, sempre con incarichi di primo piano, consigliere in Provincia. E tutto per cinque voti di scarto rispetto alla collega di lista Matilde Eleonora Celentano. Colleghi o no, Dellapietà ha impugnato i verbali elettorali e, sostenendo la tesi di brogli diffusi, ha fatto ricorso al Tar. L’obiettivo? Prendersi lui la poltrona della dottoressa Celentano. Ma dalla giustizia ora l’ex big del centrodestra ha ottenuto solo un’altra doccia fredda, essendo il suo ricorso stato dichiarato inammissibile.

Dellapietà aveva chiesto di annullare i verbali delle operazioni dell’ufficio elettorale centrale, sia del primo turno elettorale che del ballottaggio, puntando il dito soprattutto su dodici sezioni. Candidato con la lista “Nicola Calandrini sindaco”, che ha ora come unica rappresentante in Consiglio la dottoressa Celentano, il ricorrente aveva sostenuto di aver ottenuto molte più preferenze delle 594 che gli erano state assegnate, ma di non essersi visto riconoscere quei voti essendo state caratterizzate le operazioni di voto da “rilevanti irregolarità”. Aveva assicurato che in 5 sezioni si era visto annullare schede in suo favore solo perché il suo cognome era stato scritto Della Pietà anziché Dellapietà, o perché sempre il nome era stato scritto vicino al simbolo della lista ma barrando quello di un’altra coalizione. In 22 sezioni, secondo il ricorrente, vi sarebbero poi stati errori di trascrizione, facendo così finire nei verbali trascritto un numero di voti inferiore a quello che lui aveva effettivamente conseguito. Accuse basate su cosa? Su cinque “sedicenti”, come li definisce il Tar, rappresentanti della lista Calandrini e da un rappresentante dello stesso candidato. Troppo poco per i giudici.
Il Tar di Latina, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha così evidenziato che Dellapietà ha proposto un riesame delle elezioni senza sostenere le sue richieste con “adeguati elementi di prova, quali avrebbero potuto essere i verbali delle operazioni di voto in ciascuna delle sezioni menzionate, in cui risultassero annotate le contestazioni dei rappresentanti di lista”. Niente seggio dunque. E mentre Celentano resta in Consiglio, Dellapietà è stato anche condannato a risarcirla di tremila euro per le spese legali.