Una stramaledetta malattia se l’era portato via durante il corso di una domenica mattina che non avrebbe mai avuto modo di far parlare di sé, altrimenti. Le sette e quarantacinque del sedici di maggio di un anno da dimenticare. Questo s’andava ripetendo attorno al tavolo, in quella sera che nessuno avrebbe mai voluto fosse testimone di tanta incredulità e sconforto e rabbia.
La bettola riluceva degli sguardi delle solite puttane. E di quello dei reietti. Affisse alle pareti stupide immagini di gente trapassata. Morta con la convinzione di aver migliorato di quel tanto che bastava questo mondo puzzolente. Aberrazioni. Scarti di pensieri fluttuanti nell’etere satura di quattro mura in decomposizione dalla nascita.
Ronnie James Dio era morto senza la pretesa di voler ascendere a quel cielo che la follia delle convenzioni umane crede spetti ai puri, a quelle genti pie e misericordiose che in Terra hanno contribuito a fare solo il bene. La religione. Un cancro maligno cresciuto a dismisura, impossibile – al punto in cui è giunto – da operare, con l’intenzione di estirparlo dalle menti e i cuori della bastarda razza umana. Il mondo aveva perso uno dei migliori cantanti Heavy Metal di sempre. Probabilmente l’unico a unire capacità artistiche e umanità, intesa come altruismo verso quegli stessi esseri di carne e sangue e merda e idiosincrasie congenite.
Il manipolo di disperati aveva pareri discordi su quali fossero i lavori più riusciti del singer italo-americano. Nonché in quale postazione del gotha collocare le varie band in cui aveva militato. Solo su una cosa non avevano dubbi. Non sarebbe mai nato un altro Ronnie James Dio e nessun cristo in disuso avrebbe mai potuto usurparlo per mezzo d’una sostituzione dell’ultimo minuto. Nossignori. Lui sarebbe rimasto il solo e l’unico. Il mondo non avrebbe avuto altro Dio all’infuori di Lui.
Se potessero definirsi degli scoppiati tali individui? C’è forse bisogno di chiederlo? Gente abituata a coltivare i propri vizi nel giardino di un’esistenza scolorita fin da subito. Persone in grado di macchiarsi delle colpe più ignobili e dividere il pasto dei proventi delle loro turpitudini con il cadavere di turno, in modo da poter aggiungere al carnet dei peccati già commessi, più tessuto avariato da brucare. Pastori del dolce eccesso e dell’amoralità. Guerrieri, nella palude silenziosa dell’imprudenza d’essere stati un giorno vomitati da qualche dannato ventre alieno. Eccoli tutti là, a ostentare una miseria da far invidia agli scarafaggi. E pronti a vendicare la Vita.
«Porca d’una madonna, ma vi rendete conto? Neanche uno straccio di notizia ai telegiornali. Niente di niente. Manco fosse morto un qualsiasi barbone pustoloso.»
«Maledetto Antropophagus del cazzo. Il solito razzista. Cosa c’hai contro i barboni? Troppo forte il loro odore per il tuo nasino delicato?»
«Non mi rompere il cazzo, Condor. Hai capito benissimo quello che intendevo. La tua demagogia spicciola con me è fuori luogo. Applicala a quelli che vanno in chiesa tutte le domeniche e poi sfruttano il prossimo fino all’osso, prima di buttarlo in una qualsiasi discarica a marcire.»
«Embè? Mettono la carne a macerare, prima della degustazione. Non hai sempre detto che l’unica cosa buona della nostra razza è proprio quella?»
«Di cosa cazzo blateri? Hai bevuto troppi succhi di frutta. Il liquido s’è mischiato con quel poco di cervello rimasto e ha inceppato l’ultimo ingranaggio funzionante. Io ho sempre e semplicemente asserito che la carne umana è la migliore in circolazione. Non ho mai parlato di consumarla se avariata. Una volta praticati i tagli, bisogna usufruire delle scorte quando sono ancora fresche, come se appartenessero a un qualsiasi bovino.»
«O suino – che dir si voglia – non credi? Gli esempi non sono mai stati il tuo forte. Con tutta l’acqua minerale buttata giù stasera corri il rischio d’arrugginire. Noto che le sinapsi sono state già intaccate. Occhio a non venire giù come le torri gemelle dopo l’implosione telecomandata.»
«I tuoi sofismi sono sporchi peggio delle poesie da marciapiede con cui ci avveleni le giornate. Intanto è morto un grande e sembra che freghi qualcosa solo alle persone riunite a questo squallido banchetto. Non è giusto. Ti dico che non è giusto, dannazione. Propongo un brindisi. A Ronnie, affinché possa continuare a vivere per sempre grazie alla sua musica.»
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