Itri, cibo per i bisognosi abbandonato in strada (ancora integro)

Chi aveva detto che i gusti della cucina itrana non erano graditi e apprezzati dagli estimatori della “buona alimentazione”? E che la nuova moda, importata dalle sempre più dilaganti mode orientali, stesse soppiantando, nelle abitudini, a tavola, dell’italica gente, ricette e piatti celebrati da secoli di conclamata gastronomia? A confermare che il mangiare “mediterraneo” non conosce la strada che conduce al viale del tramonto, giungono le testimonianze, sul web, di attenti osservatori dei costumi della gente che vive a Itri. Magari anche altrove si registrerà lo stesso fenomeno ma dalle altre realtà comunali riscontri di tale genere non se ne sono avuti. Almeno per ora.

Alcune delle confezioni di cibo abbandonate ancora integre
Alcune delle confezioni di cibo abbandonate ancora integre

Praticamente si tratta di questo: reiterati episodi di abbandono di cibo in scatola, certamente non distribuito a chi è in possesso di una abitazione di lusso, di una seconda casa al mare o in campagna, né a chi è solito godere il periodo di ferie estive con il supporto di una imbarcazione di propria proprietà, lasciano inequivocabilmente intendere che a Itri – dato che le foto che riportiamo qui a corredo della notizia sono state scattate nel centro collinare aurunco – anche i poveri non ignorano i piaceri della buona tavola. E sì, perché altrimenti non si spiega come mai confezioni di alimenti, igienicamente ineccepibili e dalla scadenza rigorosamente controllata prima della loro consegna agli aventi diritto, possano venire abbandonati, all’interno di borse o sportine, fuori della propria o dell’altrui abitazione. E che di prodotti alimentari, distribuiti gratuitamente dalla UE e che non possono assolutamente essere impiegati per operazioni commerciali mirate al profitto del venditore, si tratti, lo si arguisce dalle etichette ormai note anche ai non addetti alla distribuzione.


cibo abbandonato itri-2Se, però, hanno commentato in tanti su Facebook, a Itri ci si può permettere il lusso di gettare via ciò che viene elargito a titolo completamente gratuito, allora le interpretazioni per cercare di comprendere questo ossimoro comportamentale non possono che essere due: o il beneficiario della elargizione dei prodotti gratuiti della UE, alla cui distribuzione sono deputate, tra l’altro, associazioni come la Croce Rossa Italiana o la Caritas, soffre di anoressia oppure ha fatto il voto di astenersi dal cibo per qualche grazia ricevuta, oppure sulla sua tavola giunge un menù quotidiano più gradito, che, magari, non deve essere per forza, sempre un piatto di linguine all’astice. Altra spiegazione non può esservi perché, se c’è crisi economica e, di conseguenza, si stringe la cinghia, a nessuno, sempre parlando di soggetti capaci di intendere, di volere e, pertanto, di comportarsi con logica conseguenza, verrebbe in mente di gettare via il pane quotidiano, ottenuto gratuitamente, e di sostituirlo con piatti alternativi e per il cui acquisto, comunque, occorre mettere mano al portafoglio di famiglia.

Una domanda sorge spontanea, avrebbe allora detto, a questo punto, un conclamato conduttore di programmi televisivi che seguivano le mode e i costumi della gente di questo scorcio di storia “globalizzata”. Ma chi non utilizza o non apprezza i prodotti elargiti gratuitamente loro da strutture che, alla fine, si reggono in piedi grazie a quei contribuenti che ottemperano ai loro obblighi verso il fisco, perché, allora, li ritira? Perché non li lascia a disposizione di chi potrebbe assegnarli ad altri destinatari, che ne sono rimasti privi perché la quantità distribuita non era riuscita a coprire quantitativamente il numero delle richieste? Perché non si ha la dignità, morale e umana, di dire che personalmente, in barba alla dichiarata condizione di povertà, si hanno le possibilità di optare per un piatto, magari dal costo anche rilevante, anziché per il ”minestrone” in barattolo omaggiato dalla Unione Europea?

Ed ecco, allora, che altri tasselli dello stesso mosaico fanno venire in mente il dubbio che la povertà serve solo ad essere evocata come comodo palliativo per ottenere gratuitamente quanto non è dovuto a chi bara nella dichiarazione di impossibilità ad autosostentarsi, a danno soprattutto dei veri poveri che vivono in maniera moralmente più dignitosa una critica condizione socio – economica che un serie di contingenze ha imposto loro. E questi altri tasselli sono la documentata pretesa, da parte di alcuni possessori di buoni pasto, di pretendere, dal commerciante presso il cui esercizio ci si reca a utilizzare il bonus perla sopravvivenza, bottiglie di birra e di Vecchia Romagna, anziché pacchi di pasta, zucchero, farina, formaggi, provviste di cui un vero indigente ha veramente tanto bisogno. Forse qualche “vero” controllo e, soprattutto, l’adozione di provvedimenti conseguenzialmente in linea con il comportamento dei cultori del whisky a gogò, a questo punto, sembrano proprio doverosamente necessari. Non fosse altro che per tutelare i diritti di chi ha veramente bisogno e non ottiene nulla dalla mammella elargitrice di ogni ben di Dio che l’assistenzialismo incontrollato propina a chi spesso non ne ha diritto. Né materiale, né soprattutto morale.