“Negli ultimi anni, cioè da quando il mercato si è fatto spazio all’interno degli istituti scolastici, è un fiorire di Open day, evento che serve a ‘mostrare la merce’ ai genitori dei futuri clienti. In poche ore la scuola svela il proprio backstage, il proprio piano industriale e le qualità che la caratterizzano”.
Le considerazioni del circolo “Enzo Simeone” del partito della Rifondazione comunista di Formia.
“Ma chi sono i clienti? vanno dai due anni ai diciotto, vale a dire dalla classe primavera dell’asilo all’ultimo anno degli istituti superiori di secondo grado.
Passi per le scuole superiore nelle quali l’offerta formativa è effettivamente legata al tipo di indirizzo del corso di studi che lo studente sceglierà da lì a breve, ma è difficile trovare una giustificazione quando questo interessa le scuole di grado inferiore.
In questi istituti l’offerta formativa non dovrebbe essere la stessa? Perché uno studente che va ad esempio alla scuola media Vitruvio Pollione di Mola dovrebbe aver un piano di studi diverso rispetto ad uno che va alla scuola media “Pasquale Mattej” di San Pietro?
Vogliamo che ci siano studenti di serie A e studenti di serie B?
D’altronde lo conferma una recente circolare del ministero dell’istruzione che esorta gli istituti alla flessibilità didattica anche nel creare gruppi sulla base del profitto, cioè «classi di bravi e classi di asini» (fonte www.corriere.it).
Evidentemente in gioco c’è molto altro che la semplice possibilità di attirare a sé un numero significativo di clienti (o studenti).
E’ tutto il sistema scolastico ad essere scosso nella fondamenta.
Le scuole pubbliche avranno sempre meno fondi.
Dalla lettura del piano della ‘Buona Scuola’ si legge che ‘Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola’. Questo significa – in soldoni – che non sono previsti ulteriori investimenti pubblici e che saranno i privati ad investire sulla scuola, creando quindi scuole di serie A (per i ricchi) e scuole di serie B (per i poveri).
Non vorremmo addirittura che si arrivi a chiudere addirittura le scuole che non hanno un numero di studenti considerato sufficiente dal ministero dell’istruzione.
D’altronde da chi ha trasformato l’istruzione in merce da aspettarsi di tutto.
La scelta dei governi negli ultimi anni è quella di trasformare definitivamente le nostre scuole in aziende, capeggiate da un preside-manager dotato di poteri enormi sia sulla gestione del personale che sugli stessi contenuti della didattica, con il definitivo azzeramento delle prerogative degli organi collegiali democratici ridotti al più ad organismi da ‘sentire’ o da ‘consultare’.
Il potere assegnato al dirigente scolastico, infatti, è presso che illimitato: è lui ad elaborare il Piano dell’offerta formativa “sentito il Collegio dei docenti e il consiglio d’istituto”, è lui a scegliere per chiamata diretta gli insegnanti del cosiddetto organico funzionale da un albo distrettuale, è sempre lui il titolare della valutazione dei docenti, è ancora lui a scegliersi il suo staff e ad elargire premi economici ad una parte dei docenti. Un vero e proprio dominus assoluto della scuola.
Concetti come partecipazione e condivisione sono in tutta evidenza sconosciuti al nostro presidente del consiglio e al suo governo, ancora più sconosciuti – o meglio, considerati pericolosi impacci da evitare – i concetto di diritti, regole e democrazia.
A completare l’involuzione del sistema scolastico c’è l’asservimento di interi pezzi dell’istruzione alle esigenze delle imprese. Non solo con l’esaltazione dell’alternanza scuola-lavoro ma con l’incredibile previsione della costituzione di “laboratori per l’occupabilità” in collaborazione con enti e imprese private attraverso “l’orientamento della didattica e della formazione ai settori strategici del Made in Italy”.
Tutto questo mentre si sottraggono non solo risorse alle scuole ma addirittura si chiede ancora agli insegnanti e al personale Ata di tirare la cinghia.
Nell’ultimo rapporto pubblicato l’ARAN – Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni – ha messo nero su bianco come dall’inizio dal 2008 gli insegnanti e al personale ATA hanno perso circa 80 euro al mese, visto che il loro contratto è bloccato dal 2009 e – tranne qualche mancia – continuerà ad esserlo ancora per molto tempo, perché i soldi – a detta del governo – non ci sono”.