Non si può definire un incidente sul lavoro ed è difficile liquidarlo anche come una semplice disgrazia: quanto accaduto al 76enne Paolo Di Giacomo, a Formia, a distanza di quasi tredici anni dai fatti resta un mistero. L’unica certezza è quella che l’anziano venne trovato privo di vita, ferito a morte dalla caduta di un cancello scorrevole, all’ingresso del suo capannone a Penitro, l’11 marzo 2003. Sul resto solo tanti dubbi, che ben tre processi non sono riusciti ad eliminare.
Per la morte del 76enne vennero indagati l’autotrasportatore Antonio Di Paola, di Gaeta, con l’accusa di omicidio colposo, e Antonio Antocicco, di Itri, accusato di favoreggiamento. Secondo i carabinieri, facendo retromarcia con un autocarro OM 50, Di Paola finì contro il cancello del capannone di Di Giacomo, il cancello cadde, colpì il 76enne e l’autotrasportatore si allontanò senza fermarsi a prestare soccorso. Antocicco invece, sempre per gli inquirenti, cercò di sviare le indagini, aiutando così Di Paola.
Il 15 luglio 2009, il Tribunale di Gaeta condannò l’autotrasportatore a un anno e mezzo di reclusione e a risarcire le figlie e la moglie della vittima, costituite parti civili, riconoscendo loro una provvisionale di 150mila euro. Antocicco venne invece condannato a sei mesi di reclusione.
L’11 dicembre 2013, però, a distanza di oltre dieci anni dalla tragedia, il verdetto venne ribaltato. Per la Corte d’Appello di Roma non c’era alcuna prova che i fatti fossero andati come sostenuto dalla pubblica accusa. I magistrati puntarono su altri indizi, che rendevano plausibile l’ipotesi che il cancello, una volta urtato da Di Paola, non fosse caduto e che si fosse abbattuto a terra solo successivamente, dopo che il 76enne lo avrebbe urtato a sua volta con l’auto, scendendo poi dal mezzo. L’autotrasportatore venne così assolto perché il fatto non sussiste e l’imputato per favoreggiamento prosciolto, essendo il reato ormai prescritto.
La moglie del 76enne, Cornelia Pennacchia, e le figlie, Anna Rita e Lucia Di Giacomo, hanno fatto ricorso in Cassazione. Una lettura alternativa dei fatti non è però possibile da parte della Suprema Corte e la sentenza contestata è stata ritenuta motivata in maniera adeguata. Il ricorso è stato così rigettato e la verità su quanto accaduto a Penitro sembra proprio che non arriverà mai