Dopo essere già stato accoltellato al ventre, è stato colpito da un colpo d’ascia al collo. Il tutto al culmine di una lite con il fratello è poi morto all’ospedale Goretti di Latina. E’ quanto accaduto nel tardo pomeriggio di oggi lunedì, intorno alle 5, a Sezze in località Fontane a circa duecento metri dalla caserma dei carabinieri, dove è morto il 51enne Luciano Stirpe ucciso dal fratello Gianni, quasi coetaneo.
Questioni di eredità sarebbero alla base del litigio, iniziato in strada, e poi degenerato in delitto. Titolare delle indagini e il sostituto procuratore della Repubblica di Latina Giuseppe Bontempo.
“In paese tutti sapevano che la situazione era ormai esplosiva. Del resto le denunce e le comunicazioni di Luciano Stirpe si erano succedute in questo periodo”, ha detto l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo a lungo difensore della vittima già quando gli aveva fatto riavere terreni, case, conti correnti, moto, autocarri e auto del setino, tra cui una Ferrari facendo annullare in Corte d’Appello nel 2013 un provvedimento di confisca del Tribunale avanzato dalla Polizia che riteneva quei beni frutto di attività illecite (video sequestro).
A quanto pare, infatti, i rapporti poco felici tra i due fratelli andavano avanti da lungo tempo e una delle denunce della vittima nei confronti del germano era già approdata in Tribunale con udienza fissata al 27 ottobre prossimo davanti al gup Campoli. Secondo questa denuncia Luciano Stirpe sarebbe vittima di una serie ripetuta di minacce e anche di falsi esposti, rivelatisi tutti infondati, con i quali era stato falsamente accusato dal fratello di essere armato di pistole e fucili e per questo aveva subito ripetute perquisizioni.
Fino alla scorsa estate quando, per l’appunto, decise di sporgere una dettagliata denuncia ai carabinieri di Sezze per calunnia contro il fratello che, oltre a perseguitarlo, lo stava anche falsamente continuando a denunciare. Proprio in questi giorni erano arrivate le notifiche per l’inizio del processo innanzi al Gup, dacché la vittima aveva dato mandato al suo storico difensore, l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo, di costituirsi al processo come parte civile nella speranza che questa persecuzione continua finisse.
Ed invece potrebbe essere stata la miccia della follia assassina.