Le audizioni, i tabulati, le intercettazioni, le dichiarazioni messe a verbale dalla “gola profonda”, i riscontri dati dagli impianti di videosorveglianza attorno alla palazzina del delitto. Il quadro indiziario restituito da Procura ed Arma attorno all’omicidio del 61enne “don” Patrizio Barlone, ucciso nella sua abitazione di Monte San Biagio lo scorso febbraio, appare ampio e ben circostanziato. Elementi a cui a breve se ne aggiungerà uno potenzialmente decisivo, in un senso o nell’altro: la prova del Dna.
Mercoledì, dietro disposizione del gip del Tribunale di Latina Nicola Iansiti su richiesta del pm Maria Eleonora Tortora, i cinque indagati campani sono stati sottoposti al prelievo dei relativi campioni. Ad eseguirli gli specialisti del Ris che più volte erano stati sulla scena del crimine, nell’occasione portatisi presso la casa circondariale di Poggioreale. E’ lì che dall’11 maggio sono rinchiusi il 50enne napoletano Salvatore Sarallo, considerato il “reclutatore”, e i quattro che avrebbero messo materialmente in atto l’irruzione mortale in casa di Barlone, ovvero il 43enne Salvatore Avola e la 36enne sorella Vincenza, di Torre del Greco, il 49enne Carmine Marasco, anche lui torrese, ed il 56enne Antonio Imperato, di Ercolano.
Nessuna richiesta per quanto riguarda il Dna del 53enne fondano Aldo Quadrino, inquadrato come il mandante di quella che, secondo le ipotesi investigative, doveva essere una rapina finita male inizialmente finalizzata a recuperare il fantomatico “tesoro” in contanti e diamanti di Barlone. Associato all’interno del carcere di Latina, nell’ambito delle ricostruzioni Quadrino – assistito dagli avvocati Giulio Mastrobattista e Atena Agresti, che nel frattempo si sono appellati al Riesame – non veniva comunque mai collocato all’interno dell’abitazione nel giorno dell’omicidio: secondo i riscontri di un occhio elettronico, smentiti dall’interessato durante le dichiarazioni spontanee rese al gip, nel corso dell’irruzione in casa di “don” Patrizio l’imprenditore sarebbe rimasto ad attendere in auto che i presunti complici terminassero “il lavoro”.
In attesa delle risultanze del Dna, gli elementi isolati dal Ris di Roma in casa di Barlone e nelle sue immediate vicinanze continuano ad ogni modo a restare un mistero. Uno dei tanti ancora aperti attorno al brutale delitto dell’ex diacono con la passione per i soldi.