Mafie, Latina nella morsa dei clan. Ecco il dossier

Schermata 03-2457101 alle 17.06.51Presentato questa mattina a Roma il rapporto sulle Mafie nel Lazio. Preoccupante la situazione di Latina. La mappa della provincia è contrassegnata dalla presenza dei più importanti clan della ‘ndrangheta, della camorra, della mafia e di gruppi criminali locali.

Di seguito, in versione integrale, le pagine del rapporto dedicate alla provincia di Latina.


“Oggi è possibile, a fronte di numerose sentenze passate in giudicato, raccontare sulla base di fonti giudiziarie il radicamento e la costante pressione nei confronti del tessuto economico, sociale amministrativo e politico delle organizzazioni camorristiche e ‘ndranghetistiche in provincia di Latina.

La sentenza “Anni ’90” definitiva, scaturita da un procedimento istruito dalla Dda di Roma – sostituto procuratore Diana De Martino – relativo all’attività di una costola del clan dei casalesi operativo tra Castelforte, SS.Cosma e Damiano, Formia e Minturno. Come scritto negli atti: “Emerge certamente l’esistenza di un gruppo criminale a Castelforte, autonomo, sebbene legato “clan dei casalesi”, attraverso Beneduce Alberto e Michele Zagaria, reso certamente molto appetibile, dall’essere insediato nel territorio del basso Lazio, e quindi da avvicinare al fine di insinuarsi nella realtà economica ed affermare la piena egemonia sul territorio, utilizzando la rete dei rapporti già instaurati dal gruppo. Il gruppo risultava composto al vertice da Orlandino Riccardi, imprenditore e gestore di un’attività di movimento terra, la “mente del gruppo”, Ettore Mendico il braccio armato del gruppo, e poi da Antonio Antinozzi il killer del gruppo, Luigi Pandolfi, Domenico Buonamano e Peppe Viccaro, che insieme assicuravano l’affermazione della supremazia del gruppo sul territorio”. Il “gruppo Mendico’’, diveniva così una vera e propria organizzazione imprenditoriale – camorristica che monopolizzava il mercato e intimidiva la concorrenza.

Ettore Mendico
Ettore Mendico

Nel processo “Anni ‘90” il collaboratore di giustizia fra i più importanti del clan dei Casalesi, Dario De Simone, ha dato un contributo fondamentale per comprendere il ruolo del clan Mendico. L’ex boss, un tempo ai vertici dell’organizzazione criminale dopo la morte di Antonio Bardellino, ha ricostruito la mappa dei clan che hanno dominato il confine laziale campano. Nel suo racconto, De Simone ha parlato di scambi di armi e di soldi tra lui e Venanzio Tripodo, detto “o’ calabrese” e fratello di Carmelo Giovanni, quest’ultimo coinvolto nel caso Fondi. De Simone parlava di legami strategici tra ‘ndrangheta e casalesi.

Al processo depongono decine di imprenditori locali e qualche politico vittime del clan. Quasi tutti non ricordano le minacce, le percosse e gli attentati ai cantieri. Al processo si “vive un forte clima di omertà”. La realtà di Castelforte è stata recentemente interessata da due gravissimi attentati nei confronti dell’amministratore della ditta CSA che svolge numerosi servizi ambientali in molti comuni della provincia pontina: il 1 settembre del 2014 il portone della casa dell’amministratore dell’azienda sopra citata veniva colpito da due colpi di pistola; il 17 ottobre ignoti sparavano nuovamente contro la stessa abitazione.

La relazione della Direzione Nazionale Antimafia nel 2013 sottolineava come “nei territori del basso Lazio, si sono verificati numerosi episodi di intimidazione, consistiti in incendi di esercizi commerciali o di macchinari, danneggiamenti di veicoli, esplosioni di colpi di arma da fuoco contro le serrande di locali e negozi. Si è parallelamente riscontrata una diffusa omertà e una bassissima propensione a denunciare gli atti intimidatori subiti”.

“Bisogna altresì registrare sul territorio di Latina numerosi episodi intimidatori quali la esplosione di ordigni, colpi di arma da fuoco e altri attentati incendiari nei confronti di esercizi commerciali, automobili ed immobili. Tali episodi rappresentano chiaramente dei segnali intimidatori provocati dall’infiltrazione nella società civile della criminalità organizzata”. Gli episodi di intimidazioni si ripetono con preoccupante, cadenza ai danni di aziende commerciali, autovetture di imprenditori e mezzi di lavoro con particolare intensità nelle città di Latina, Aprilia, Terracina, Sabaudia, Priverno, Formia, Fondi. E’ opportuno sottolineare che sia sentenze passate in giudicato sia indagini delle Dda di Napoli hanno sottolineato la presenza di attività connesse al racket camorristico nel basso Lazio.

Carmelo Tripodo
Carmelo Tripodo

Particolarmente significativa, inoltre, la sentenza Damasco contro il clan Tripodo Trani anch’essa definitiva ex associazione a delinquere di tipo mafioso operativa in Fondi. Nel documento si legge: “l’associazione esaminata presenta sicuramente connotati di mafiosità in considerazione della sua stabile e perdurante operatività con metodi intimidatori, sin dai primi anni ’90, in un territorio come quello di Fondi, in passato estraneo, per collocazione geografica, a vicende di criminalità organizzata e per questo più fragile ed esposto ad interventi e forzature esterne che, per il loro carattere infiltrante, hanno assunto con il tempo sempre maggiore caratura ed efficacia, con la finalità di commettere una serie indeterminata di delitti (traffico di droga, armi, usura ed estorsioni) e di acquisire il controllo di interi settori di attività economiche anche grazie all’appoggio di fiancheggiatori esterni”.

Il clan Tripodo Trani è il risultato di un’evoluzione storica del gruppo fisicamente riferibile a Tripodo Antonino Venanzio e Tripodo Carmelo figli di Domenico Tripodo e a Trani Aldo in qualità di capi promotori l’attività investigativa messa in atto dal personale del centro Dia di Roma consentiva di inquadrare il contesto criminale in cui si muoveva Tripodo Venanzio ed i suoi collegamenti con altre famiglie mafiose. L’attività intercettiva ed i servizi di OCP, facevano emergere l’imponente attività di Tripodo Antonino Venanzio all’interno del Mof di Fondi per cui venivano attivate ulteriori investigazioni che unitamente alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, portavano alla rivisitazione e riapertura delle indagini per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. a carico degli odierni imputati. Sulla status criminale di Tripodo è significativo quanto riportato dai giudici di Latina nella sentenza di condanna: “La conoscenza qualificata delle origini dei Tripodo e del contesto criminale ‘ndranghetista in cui si collocava Don Mico Tripodo, padre degli odierni imputati, riferita in maniera univoca dai collaboratori di giustizia Schiavone Carmine e De Simone Dario ( sentiti rispettivamente all’udienza del 24/2/2011 e 1°/3/2011) e dai verbalizzanti Maresciallo Di Antonio e Capitano D’Angelantonio (Carabinieri appartenenti al ROS servizio centrale II Reparto Investigativo), lungi dall’apparire irrilevante, ha contribuito a svelare uno dei dati salienti per l’individuazione del metodo mafioso che, come sopra detto, poggia anche sulla fama criminale passata ed è tale da porre i terzi in una condizione di assoggettamento e di omertà rispetto a chi, agendo per conto dell’associazione, viene temuto indipendentemente dagli atti di intimidazione da lui eventualmente posti in essere. I testi citati hanno ripetutamente evocato la personalità di Domenico Tripodo, padre di Tripodo Antonino Venanzio e Tripodo Carmelo, utile per definire la matrice mafiosa del gruppo dato che questi era stato il capo carismatico di una tra le più potenti organizzazioni mafiose operanti in Calabria contrappostasi, a seguito di contrasti interni, alla famiglia De Stefano. Stabilitasi in Fondi la famiglia Tripodo ivi mette radici e il dato è significativo sol che si consideri che Fondi è un piccolo centro, i cui abitanti fino a quel momento (anni ‘70/’80), non erano in alcun modo abituati alla presenza di soggetti come i Tripodo, che non solo si portavano dietro un’eccezionale fama criminale, ma operavano in modo tale da intimidire in modo naturale chiunque avesse dovuto confrontarsi con loro utilizzando per primi un metodo ancora ignoto ed incontrastato in quel contesto territoriale. Si costituiva, così un sodalizio di tipo mafioso che si sviluppava in Fondi a partire dagli anni ’90 e che mantenendo inalterato, anche grazie a legami di carattere familiare, il suo nucleo essenziale, si rendeva riconoscibile e temibile all’esterno. […] I giudici di Latina spiegano le ragioni della “fuga” del clan dalla terra d’origine: “Domenico Tripodo abbandonava la zona di sua influenza per stabilirsi in territorio di Fondi, tuttavia la guerra tra le due contrapposte fazioni non cessava, infatti Tripodo Domenico, detenuto presso il carcere di Poggioreale, nel 1976 veniva ucciso all’interno del carcere, su ordine dei De Stefano, da tale Effice Salvatore appartenente al gruppo a loro vicino”.

Mof di Fondi
Mof di Fondi

Questa organizzazione criminale ha monopolizzato il MOF, almeno fino al 2008 intrattenendo rapporti con esponenti apicali del comune di Fondi. Giova rilevare che una diversa e significativa inchiesta della Dda di Napoli ha individuato, pesanti, condizionamenti sul Mof: “l’attività di indagine consentiva di ricostruire l’imponente attività di condizionamento delle attività commerciali connesse alla commercializzazione dei prodotti agro-alimentari ed al loro trasporto “su gomma” da e per i principali mercati del centro e sud Italia realizzata nell’arco di quasi un decennio da Pagano Costantino mediante la società di autotrasporti “La Paganese Trasporti & c. s.n.c.” quale referente dell’organizzazione criminale denominata “Clan dei Casalesi”, ed in particolare di Schiavone Francesco alias “Cicciariello” e di suo nipote Del Vecchio Carlo, oltre che l’appartenenza del Pagano e dei suoi collaboratori a tale organizzazione criminale. Dato incontrovertibile appariva la riferibilità a diverse organizzazioni criminose di alcune ditte di autotrasporto di ortofrutta ed il loro operare in costante violazione delle regole di libera concorrenza, venendo impedito agli altri trasportatori di “caricare” all’interno dei mercati controllati in assenza della autorizzazione dei referenti locali e del pagamento di una “provvigione”, ed ai commercianti del settore di scegliere la agenzia di trasporti in base a criteri di efficienza e qualità del servizio prestato”.

Un controllo che riguardava tutta la filiera del mercato ortofrutticolo: “La straordinaria dimensione del controllo esercitato dal braccio imprenditoriale del clan dei casalesi nel settore dei trasporti su gomma da e per i mercati ortofrutticoli del centro – sud Italia, la rilevanza della affermazione monopolistica, e la metodologia mafiosa attuata per conseguirla e conservarla nel tempo, emergono con chiarezza nella conversazione di cui al nr. 3865 registrata il 19 febbraio 2007 in occasione della quale Pagano Costantino, sottolineando la scomodità del suo ruolo di capo dell’organizzazione, rappresentava al sodale Costa Gianluca le problematiche derivanti dalla gestione di un territorio così vasto, ricompreso di fatto tra l’aversano e l’area capitolina. Pagano evidenziava che la strategia intimidatoria ed armata era stata essenziale per l’affermazione del predominio della ditta nei mercati ortofrutticoli e paragonava la propria posizione di assoluto dominio nel settore con quella di altre ditte importanti ma limitate territorialmente nella loro espansione affaristica dalla esistenza di organizzazioni concorrenti, citando l’esempio siciliano ed in particolare il mercato gelese dove la criminalità organizzata aveva un controllo ben più circoscritto e frammentato”.

L’impianto accusatorio ha ricevuto importanti conferme dalle sentenze emesse in primo grado dal gup di Napoli Antonio Cairo e dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Di particolare rilevanza risulta, inoltre, l’organizzazione criminale dedita al narcotraffico guidata dai fratelli Zizzo di Fondi “Zizzo Carlo, alias “Englisc” e Zizzo Alfiero alias “Gualterieri”, rappresentano il vertice della struttura criminale. Hanno gestito, ed emerge dalle indagini che ancora gestiscono, buona parte del mercato degli stupefacenti di Fondi e Terracina. La loro struttura rappresenta uno dei maggiori punti di riferimento di numerosi spacciatori di cocaina e hashish operanti nei comuni di Fondi e Terracina”. I fratelli Zizzo sono capi di un sodalizio criminale dedito allo spaccio di ingenti quantitativi di cocaina ed hashish, droghe importate dalla Spagna che copre un territorio assai vasto tra Fondi e Terracina lambendo persino la capitale e la città di Ardea. Proprio nella Capitale, in passato, hanno avuto rapporti stretti con il boss Michele Senese.

A Formia risulta radicata la famiglia Bardellino destinataria di procedimenti di prevenzione personale e patrimoniale definitivi: diversi esponenti della famiglia – strettamente imparentata con lo storico capo del clan dei Casalesi assassinato in Brasile Angelo Bardellino – risultano condannati per reati gravi come l’estorsione. I Bardellino, negli anni passati, hanno avuto numerosi collegamenti con un consigliere comunale ed esponenti politici come si evince nel documento a seguire: “Il gruppo Ascione si colloca tra i principali artefici dell’ascesa degli stessi Mallardo condividendo con questi il comune interesse per l’attività di rivendita di automobili, utilizzata per immettere sul mercato auto di importazione parallela in violazione della normativa in materia di Iva, nonché per perpetrate truffe ai danni di compagnie assicuratrici lucrando profitti attraverso il risarcimento dei danni. Nel corso dell’operazione, denominata Tahiti dal nome di uno stabilimento balneare di Fondi oggetto di provvedimento cautelare reale, sono stati oggetto di sequestro preventivo numerosi beni immobili tra cui molti situati in Formia, Itri e Fondi”.

UnknownE’ opportuno rilevare che nel 2012 sono stati commessi due gravi delitti in provincia di Latina: “quello di Gaetano Marino, boss degli scissionisti assassinato il 23 agosto del 2012 a Terracina (v. sopra), deve essere ricordato il duplice omicidio di Alessandro Radicioli e Tiziano Marchionne, due pregiudicati assassinati il 1 novembre 2012 a Sezze. Le indagini hanno portato all’arresto dei 4 esecutori tra i quali figura Gori Umberto, imputato per associazione al clan camorrista Schiavone in un procedimento pendente innanzi al tribunale di Latina. L’omicidio di Marchionne e Radicioli sarebbe stato commesso per un regolamento di conti sulla gestione dello spaccio di stupefacenti.

La città di Aprilia (quinto Comune del Lazio per abitanti) ha una presenza storica delle organizzazioni criminali, le sentenze passate in giudicato nei confronti di Pasquale Noviello + altri per i delitti di associazione a delinquere di stampo camorristico, estorsione, tentato omicidio aggravato dalle modalità mafiose segnalano il radicamento del clan dei casalesi in tale realtà oltre che a Nettuno ed Anzio.comune-aprilia

Da segnalare, ancora, le significative misure di prevenzione patrimoniale e personale eseguite nel 2013 nel territorio a carico di 4 soggetti, 3 di origine calabrese ed uno siciliano da tempo radicati ad Aprilia. Nei confronti di questi soggetti sono stati sequestrati beni per complessivi 35 milioni di euro. Si tratta della famiglia calabrese Gangemi, con rapporti con il clan De Stefano con imponenti interessi economici e numerose attività nella città pontina, e del noto pregiudicato siciliano Enrico Paniccia. “La pericolosità sociale del Paniccia emerge in maniera incontrovertibile non solo dai gravi precedenti penali di cui al certificato penale (cfr. condanne del Tribunale di Latina del 1996 e del Tribunale di Velletri del 1997 relativamente ai reati di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti e associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) ma anche dalle numerosissime vicende criminali di cui lo stesso risulta essere stato protagonista sin dal 1973 e fino al 2009 per reati di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, associazione a delinquere e usura”. Nel contesto di Aprilia è presente, infine, un’agguerrita criminalità organizzata locale ascrivibile ai fratelli Nino e Michele Montenero operativi da decenni nel traffico di droga internazionale.

Già nel 2006 la Direzione Nazionale Antimafia rilevava: “Sempre più evidente risulta la diffusione della criminalità nelle zone di Aprilia, Anzio e Nettuno in cui le radicate presenze di soggetti appartenenti a gruppi criminali di origine meridionale hanno rappresentato un fattore importante nella crescita della capacità criminale di aggregazioni locali dedite alle estorsioni e al traffico internazionale di sostanze stupefacenti(…).

La stessa Direzione Nazionale Antimafia segnalava nel 2013: “La zona di Aprilia è stata poi interessata dalle indagini della Dda di Brescia relativa ad una organizzazione, che riforniva di stupefacenti le piazze di Brescia e Bergamo e che era in stretto contatto con un sodalizio stanziato nel Lazio, capeggiato da un cittadino albanese, che riforniva il nord-Italia di grosse partite di marijuana importate dall’Albania”. Si segnalano, in particolare, le gravi intimidazioni nei confronti dell’assessore pro tempore alle finanze Antonio Chiusolo che in seguito a tali fatti ha rassegnato le dimissioni: nell’agosto del 2013 ignoti bruciano la sua vettura, nel dicembre del 2013 numerosi proiettili vengono lasciati davanti l’abitazione dell’assessore in oggetto. Nel documento dell’Antimafia: “La presenza poi, sempre nel territorio di Latina di una criminalità albanese dedita al traffico degli stupefacenti e alla prostituzione è evidenziata dai recenti delitti che si sono realizzati in quel territorio. Il 25 marzo 2011 veniva infatti ucciso,ad Aprilia, con colpi di arma da fuoco Hykaj Fitues. Le indagini espletate hanno individuato tra i partecipanti al delitto, maturato a seguito di questioni inerenti il traffico di stupefacenti, Xhaferri Klodian. Costui si dava alla fuga, rendendosi latitante, non tanto per sfuggire all’arresto bensì per il timore di subire le ritorsioni da parte dei sodali della vittima. In effetti la vendetta veniva puntualmente consumata in data 20 giugno 2011 con l’uccisione di Lula Ilir, altro partecipante all’omicidio. Per tale secondo omicidio venivano arrestati Hoxha Gazmir, quale esecutore materiale e Hykaj Xhezmi, quale mandante”.

Il commento

«Il rapporto “Mafie nel Lazio” offre un quadro dettagliato e poco rassicurante sulle infiltrazioni criminali nella nostra regione e in provincia di Latina, infiltrazioni che coinvolgono il tessuto sociale, politico, amministrativo ed economico e che vanno combattute ad ogni livello e non soltanto con gli slogan». Commenta il consigliere regionale del Partito Democratico Enrico Forte.

*Enrico Forte*
*Enrico Forte*

«Le relazioni degli organismi antimafia e le decine di sentenze emesse a conclusione di processi per associazione a delinquere di stampo mafioso – spiega Forte – confermano come a Latina e provincia si siano radicati, da Aprilia a Castelforte, clan di diverse organizzazioni criminali che hanno acquisito nei decenni importanti fette di attività economiche e commerciali e che hanno in qualche caso riferimenti all’interno delle amministrazioni locali. Tali realtà consolidate oltre ad inquinare pesantemente il clima, non esitano a mettere in atto gravi intimidazioni ai danni di imprenditori, politici ed esponenti della società civile. Preoccupa particolarmente il dato relativo agli incendi e agli attentati sul territorio pontino, 23 nel 2013 e 29 nel 2014, che collocano la nostra provincia ai livelli di quella romana. Altrettanto pesante il livello di diffusione del narcotraffico e i numeri delle illegalità nel ciclo del cemento (151 che rappresentano il 2,7% del totale nazionale) così come le infrazioni accertate nel settore del ciclo dei rifiuti, 91 in totale pari all’1,6%).  Di fronte ad una situazione di questo tipo, all’interno della quale organizzazioni di diversa origine si sono spartiti il territorio per condurre le loro attività economiche, la politica non può che riaffermare la cultura del rispetto delle regole per difendere concretamente e non solo a parole la legalità e le aziende sane che spesso non sono in grado di competere con chi adotta modalità criminali».