Presentato “Statuta civitatis Corae (Romae 1732)”

la tela restaurata col progetto corarteÈ stato presentato sabato pomeriggio presso la Chiesa Santa Maria della Pietà il volume «Statuta civitatis Corae (Romae 1732)», a cura di Pier Luigi De Rossi e Giovanni Pesiri. Una nuova edizione, riveduta ed integrata con i contributi di De Rossi, Pesiri e del prof. Victor Crescenzi (Università di Urbino), della ricerca dell’Archivio storico comunale di Cori pubblicata tre anni fa.

Il libro offre un interessante spunto per riflettere su cinque secoli di storia medievale e moderna della città di Cori: dal ‘300, quando iniziarono le prime codificazioni di usi e consuetudini, al ‘700 quando il consiglio del Comune aveva deliberato di stampare l’originario testo latino del 1549 insieme alla sua traduzione “in volgare” per facilitarne la comprensione, ma l’idea dell’edizione bilingue non incontrò il favore delle autorità superiori.


La novità principale tra lo Statuto del 1549 e lo Stato del 1732 è l’abolizione dell’antico “parlamento”, o consiglio generale, formato dai capifamiglia di Cori. Nel 1668 fu sostituito, per disposizione del Governo pontificio, da un consiglio ristretto di esponenti delle 60 famiglie più in vista di Cori, ponendo fine all’antica consuetudine medievale di lasciare a tutto il “popolo” il potere di decidere almeno su alcuni temi che coinvolgevano gli interessi vitali della comunità.

La stampa del 1732 ebbe una tiratura di sole 150 copie ed oggi tale normativa è a disposizione di un pubblico più vasto. La traduzione italiana che affianca il testo latino corona, a distanza di quasi tre secoli, il desiderio espresso dagli amministratori comunali agli inizi del Settecento, di rendere più comprensibile almeno la legislazione locale.

All’evento sono intervenuti anche Gioacchino Giammaria, presidente dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale (ISALM), e Piero Manciocchi che ha illustrato ed esposto i primi risultati del “Progetto Corarte”, che è riuscito a restaurare alcune antiche opere d’arte abbandonate con il contributo dei cittadini.