
Nessuna violazione o abuso. E, quindi, lui e gli altri imputati del tutto innocenti. Condannati pur avendo tutte le carte in regola, senza la possibilità di difendersi adeguatamente, per una sentenza finale addirittura basata solo su “congetture”. Per di più, con sullo sfondo interessi politici di parte e fughe di notizie. Insomma, una sorta di situazione dal sapore kafkiano, secondo il diretto interessato.
Farà sicuramente discutere, in un senso o nell’altro, la decisa presa di posizione del presidente sospeso della Provincia Armando Cusani, in corsa per uno scranno a Bruxelles e costretto un giorno sì e l’altro pure a convivere col peso (e le polemiche) della nota condanna – arrivata nel luglio del 2012 – relativa alle vicende dell’Hotel Grotta di Tiberio, di cui è comproprietario assieme al suocero.
Un caso giudiziario che lo ha visto condannato in primo grado per concorso in abuso d’ufficio. E su cui Cusani, censurando l’operato del Tribunale di Latina, getta poco velatamente delle ombre. Forte di una ferma convinzione: “Sono innocente”.
La personale difesa della colonna forzista è affidata al proprio ufficio stampa, che, in vista delle sempre più prossime elezioni europee, ha anticipato gli atti del ricorso in Appello presentato per tale vicenda. Un pantagruelico riassunto in anteprima, di seguito riproposto integralmente.

DIRITTO ALLA DIFESA
Quando si è rinviati a giudizio per un reato ci si aspetta giustamente che il processo si occupi delle violazioni delle quali si è stati accusati. Non è solo logico pensarlo ma è anche ciò che prevede la legge. Il procedimento giudiziario che ha visto imputato e poi condannato Armando Cusani per concorso in abuso d’ufficio ha invece preso in considerazione vicende che non erano previste nei cosiddetti capi d’imputazione, ovvero le accuse per le quali sarebbe stato imputato. Una lunga serie di argomenti non previsti né annunciati, alcuni dei quali inseriti in altri procedimenti e coperti dal segreto istruttorio, sono spuntati a sorpresa impedendo alla difesa di prepararsi e di produrre prove a sostegno della propria tesi ledendo il diritto che ciascun imputato (ritenuto secondo la legge innocente fino all’ultimo grado di giudizio) ha di difendersi e andando contro la Carta fondamentale dei diritti dell’uomo.
Secondo il capo d’imputazione l’unica norma violata sarebbe l’articolo 55 della Legge Regionale 38/99 ossia l’edificazione in zona agricola.
Secondo la sentenza emessa dal Tribunale di Latina il 2 luglio 2012 gli imputati avrebbero invece violato alcune prescrizioni del Testo Unico in materia di edilizia. Infine Cusani e Chinappi sono stati condannati per concorso in abuso d’ufficio.
VIOLAZIONI INFONDATE
Ma vediamo perché, secondo la difesa che ha potuto esercitare pienamente il diritto ad acquisire prove ed argomentare la sua tesi solo all’interno del ricorso presentato in Corte d’Appello, non ci sarebbe stata alcuna violazione, dunque alcun tipo di reato e tutti gli imputati sarebbero innocenti.
DESTINAZIONE D’USO

La legge regionale a cui fa riferimento l’accusa giustamente prevede l’esigenza di tutelare la “vocazione produttiva delle zone agricole” e la “permanenza della popolazione rurale”.
Tuttavia da almeno cinquant’anni a questa parte sul terreno dell’Hotel Grotta di Tiberio, la cui attività è autorizzata e convalidata tra gli altri, dall’Azienda di Promozione Turistica, nessuno coltiva la terra. Sperlonga è un Comune con una chiara vocazione turistico-alberghiera e quell’area è stata sempre dedicata all’ospitalità turistica. Insomma non ha mai avuto una destinazione agricola ma addirittura venne sanata proprio in ragione della sua classificazione turistico-produttiva-commerciale.
Se così non fosse stato Chinappi e Cusani non avrebbero potuto ottenere nel 2004 il permesso a costruire ritenuto tra l’altro “legittimo ed irrilevante sotto il profilo penale” dal Commissario Tecnico del Pubblico Ministero in quanto perfettamente compatibile sia con le leggi paesaggistiche-ambientali che con quelle urbanistiche.
DISTANZA DAL MARE
La costruzione rispetta la distanza dalle coste marine di 300 metri, così come confermato dall’esame della Carta Tecnica Regionale e dal Piano Territoriale Paesistico Catastale. L’edificio dista infatti, nel punto più a valle, circa 310 metri dalla linea di battigia del mare.

PARERI
Nel 2005 sia la Regione Lazio che la Soprintendenza hanno concesso il loro parere favorevole in merito alla compatibilità paesaggistica prima del rilascio del permesso a costruire.
Nel febbraio del 2006 la Regione Lazio ha verificato anche attraverso un sopralluogo, lo stato della struttura. “È stato accertato – si legge nel verbale – tramite la visione dei luoghi e dei progetti, che nell’opera realizzata non risultano difformità evidenti dal progetto di variante autorizzato con permesso di costruire. La concessione in oggetto, infatti, riguarda interventi su edifici esistenti che non comportano modifiche assimilabili alle variazioni essenziali”. Seguono altre due conferme, sempre dalla Regione Lazio che scrive: “non risulta compiuta alcuna attività che possa essere classificata come interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico edilizia”. Tutto ciò non è stato nemmeno preso in considerazione dal Tribunale di Latina.
228 MQ PERFETTAMENTE REGOLARI
Se fosse stata violata la destinazione agricola avrebbe potuto avere senso l’ipotesi di una violazione del Testo Unico sull’edilizia. Tuttavia le opere ritenute abusive sono state realizzate in piena conformità con quella legge che prevede che “sono da considerare sempre consentiti gli aumenti di superficie dovuti all’adeguamento della dotazione di servizi”.
Secondo i capi d’imputazione, le “superfici accessorie” sarebbero: un locale interrato destinato all’impianto di depurazione della piscina, un magazzino e un deposito cucina.
Il locale destinato all’impianto di depurazione piscina e il magazzino non possono essere qualificati come superfici utili e quindi determinare un aumento di volumetria. Gli spazi destinati ai vani tecnici infatti non sono computabili. Per quanto riguarda il deposito, invece, il riferimento è il Piano Regolatore Generale del Comune di Sperlonga che stabilisce che va computata come volumetria: “la parte interrata delle costruzioni se destinata a residenza, uffici, negozi o attività produttive” e “i fabbricati accessori per la parte fuori terra”. Il deposito è completamente interrato e non è né una residenza né un’attività produttiva. I locali sono accessibili solo al personale e non sono fruibili al pubblico della struttura. Questa tesi è sostenuta anche dal parere regionale secondo cui: “la superficie interrata non determina cubatura”.

Il MURO
C’è una parete di confine tra la struttura dell’Hotel ed altre proprietà private. Quel muro che secondo la sentenza sarebbe stato aumentato abusivamente in due tratti di almeno 110 cm. Eppure, anche stavolta i lavori sono stati eseguiti con il nulla osta della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici nel 2004. Il documento ufficiale prevedeva una riqualificazione del muro di recinzione che consiste in realtà nella sostituzione di una fatiscente lamiera in ferro con un lavoro in muratura. Tra l’altro pur volendo considerare questa un’infrazione il Tribunale di Latina non avrebbe potuto condannare gli imputati per questo fatto, essendo ormai prescritto.
LA VERANDA

Secondo i giudici un ulteriore aumento della volumetria sarebbe caratterizzato dalla sala ristorante, chiusa con una tettoia e da vetrate laterali. Si tratterebbe, sempre secondo i giudici, del fatto più grave, entrato purtroppo a sorpresa all’interno del processo, non essendo stato previsto nell’accusa.
La difesa non ha avuto la possibilità di esercitare il suo ruolo, che è nel diritto di qualsiasi persona.
Quel che veramente è più grave non è l’argomento a sorpresa quanto l’aver accolto la testimonianza di un Commissario Tecnico di parte civile che è anche uno dei consiglieri comunali di Sperlonga dai quali è partita la denuncia: l’Ing. Benito di Fazio. Come si fa ad escludere in questo caso, un interesse politico chiaramente di parte? E legittimarlo? Come si fa a tutelare il corretto andamento di un procedimento giudiziario se si investe di ruolo tecnico, che dovrebbe essere imparziale, l’accusa?
Tuttavia questa è solo una piccola parte dell’enorme castello di carta costruito per mettere in piedi una sentenza di condanna che non ha alcun fondamento. Se gli abusi fossero stati reali non ci sarebbe stato nessun bisogno di ricorrere a tali stratagemmi. Ma avrebbero parlato le prove.

La questione della veranda dunque era parte di indagini preliminari allora in corso e non avrebbe potuto essere inserita in quel processo. Gli accertamenti erano tra l’altro coperti da segreto istruttorio, soprattutto nei confronti degli imputati, al fine di permettere una corretta esecuzione dei lavori. E invece le indagini in corso furono violate.
Fu ascoltato l’Ing. Di Fazio su una questione che non era prevista e in cui, per la sua posizione nel processo, non poteva assumere il ruolo di Commissario tecnico.
Inoltre fu chiamato a testimoniare un pubblico ufficiale del Nipaf il quale riferì apertamente in Tribunale sulle indagini preliminari in corso e di atti di polizia giudiziaria.
Ma andiamo nel dettaglio del presunto reato.
La tettoia copre uno spazio ben definito che, sin dalla data di apertura della struttura è sempre stato destinato a sala ristorante all’aperto. Così come approvato dai permessi a costruire del 2004 e 2005 convalidati dalla Regione Lazio. Insomma, anche in questo caso la procedura non è stata affatto irregolare.
Quanto alle vetrate, prive di telaio, non garantiscono la chiusura ermetica ma sono state montate esclusivamente per un maggiore comfort degli ospiti nella sala ristorante, al riparo dagli agenti atmosferici. Non costituiscono una parete continua e non esiste alcuna opera muraria.

Particolari non visibili nelle foto dell’Ing. Di Fazio fatte a notevole distanza ma ben chiare nell’autorizzazione paesaggistica della Regione Lazio: “Questo ufficio – si legge nel documento – esaminato il carteggio e la documentazione fotografica a corredo della richiesta pervenuta ritiene che le opere oggetto della richiesta non creano alterazioni prospettiche all’edificio. Considerata, inoltre, la tipologia delle vetrate, che sono scorrevoli su un binario e che le opere in esame hanno prettamente un uso temporaneo, in particolari condizioni meteorologiche, ed inoltre sono elemento di chiusura di un portico esistente regolarmente autorizzato si ritiene che tali interventi non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 167 comma 4 e 5 del D.gls. 42/2004, in quanto non creano aumenti né di superficie né di volume”. Parere confermato dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici del Lazio: “le opere di che trattasi non interferiscono in alcun modo con il contesto paesaggistico dell’area vincolata … le opere in oggetto non modificano né l’aspetto architettonico del corpo edilizio originario né tantomeno si può ritenere che le stesse per la loro natura possano avere alcuna incidenza con il contesto paesaggistico circostante vincolato”.
IL TECNICO COMUNALE
Il principale autore dell’abuso sarebbe il responsabile del settore urbanistica ed edilizia del Comune di Sperlonga Antonio Faiola. Cusani e Chinappi invece avrebbero concorso nell’abuso.
In sostanza Faiola avrebbe tenuto una condotta di “inosservanza del dovere di compiere un’adeguata istruttoria” (cit. sentenza) rispetto al quale la violazione della legge urbanistica sarebbe “concorrente”. Insomma non avrebbe compilato come si deve la pratica.
Ma l’abuso d’ufficio è una cosa grave. Significa che Faiola avrebbe dovuto forzare la legge, emettere provvedimenti che non potrebbero essere emessi al fine di favorire qualcuno.
Ma Faiola aveva in mano i numerosi pareri, le conferenze di servizi acquisiti dal Comune di Sperlonga e non ha fatto altro che agire di conseguenza, compiendo il suo dovere. Inoltre la testimonianza del Commissario Tecnico del Pubblico Ministero in Tribunale ha confermato la piena regolarità degli atti. Per questo, secondo la difesa, non ci sarebbero gli estremi per il reato d’abuso d’ufficio. Come mai il Tribunale di Latina non ha tenuto conto dei pareri favorevoli?
Insomma, per agire in malafede, bisognava che il tecnico comunale avesse intenzione di farlo evidentemente per favorire, secondo la tesi della sentenza, gli interessi privati dell’allora sindaco Cusani. Da tutti gli atti emerge invece che lo scopo di Faiola non era assolutamente quello di avvantaggiare un privato, anzi abbiamo visto che ha fatto il suo lavoro in perfetta tranquillità grazie ai numerosi pareri favorevoli acquisiti, citati sopra.
IL CONCORSO IN ABUSO D’UFFICIO

Armando Cusani e Aldo Erasmo Chinappi sono stati condannati per aver concorso nell’abuso d’ufficio commesso da Faiola. Pur volendo ammettere che Faiola abbia infranto la legge il Tribunale sostiene che lo avrebbe fatto accordandosi con Cusani. Ma in che modo? Se un reato è stato commesso vuol dire che è stato compiuto qualcosa. Non si può essere colpevoli se non si è commesso un fatto. Un ragionamento elementare. Ora, nella sentenza non esiste alcuna dimostrazione del fatto che ci siano stati accordi tra Cusani, Chinappi e Faiola per poter infrangere la legge a favore del loro interesse privato. Dove sono le prove? E gli indizi? Nulla. Solo congetture. Lo dice bene la Corte Suprema: “Nel reato di abuso d’ufficio, la partecipazione dell’extraneus può essere configurata quando sia provato l’accordo criminoso, che non può essere desunto dalla presentazione di un’istanza volta ad ottenere l’atto illegittimo, essendo invece necessaria la prova che la presentazione della domanda sia stata preceduta o seguita da un’intesa o da pressioni dirette a sollecitare o persuadere il pubblico funzionario”. Insomma un enorme castello di carta.
IL RISARCIMENTO DANNI AI CONSIGLIERI DI MINORANZA
Quale danno patrimoniale o non patrimoniale avrebbero subìto i consiglieri di minoranza del Comune di Sperlonga volendo pure ammettere la fondatezza delle tesi espresse nella condanna in primo grado? Il Tribunale non ha fornito alcuna prova, non ha nemmeno mai trattato ad esempio l’effetto di una “risonanza mediatica” eppure ha dichiarato l’esistenza di un danno stabilendo addirittura un risarcimento. Il Tribunale di Latina inoltre non ha tenuto per nulla in considerazione il fatto che gli imputati fossero incensurati ed ha inflitto una pena che non tiene conto delle attenuanti. In conclusione i reati per i quali Cusani, Chinappi e Faiola sono stati condannati in primo grado vanno in contrasto con i numerosi pareri favorevoli alle azioni che hanno condotto all’esecuzione di una normale pratica comunale. Che poi, se ci fosse reato d’abuso d’ufficio e i relativi concorsi dovrebbe esserci anche un reato di abuso edilizio, altrimenti a cosa sarebbe servito l’abuso d’ufficio se non a commettere infrazioni? Non esiste alcuna prova che giustifichi il concorso in abuso d’ufficio né l’intenzione del tecnico di favorire un privato. Inoltre la sentenza ha condannato Cusani per reati già estinti in prescrizione. Alla luce di tutto ciò non ha alcuna validità l’ordine di demolizione delle strutture ritenute abusive e il ripristino dello stato dei luoghi, considerato che non vi sono strutture abusive.