Ci sono tradizioni che identificano, anno dopo anno, un popolo intero. La Passione di Maenza è fra queste. Dentro c’è tutto. Devozione popolare. Voglia di esserci. Amore e sofferenza. Orgoglio di appartenenza ad un ruolo, al gruppo, al proprio paese; volontà di raccontare, con rinnovata passione, appunto, una storia vecchia di 2000 anni. Si respira il clima da grande evento, già nelle sessioni di prova, fra le pietre di Maenza, tra i suoi vicoli. Cigolano i chiavistelli delle vecchie cantine che custodiscono scudi romani, sandali e tuniche. Il mago Benito Trichei riporta a nuova vita gli abiti, sistema le piccole imperfezioni, alacre nel suo lavoro.
Il presidente Roberto Ciccateri chiama tutti a raccolta, ed insieme al direttore artistico Riccardo Loccia, ridistribuiscono copioni, controllano i tempi, preparano tutto alla perfezione. In 400 si rimettono in moto per dipingere Maenza dei toni della Gerusalemme che fu, per rappresentare la più originale delle Passioni. Un rito che si ripete dal 1970, quando l’allora parroco del paese, Padre Fastella, pensò di fare della Pasqua un’occasione di condivisione e di riflessione più diretta con la sua gente.


E così, ogni anno, la sera del Venerdì Santo le piazze si fanno teatro: scenografie a grandezza naturale fanno da quinta a personaggi dalle inimmaginabili capacità interpretative avvolti da fastosi costumi, già immortalati in pellicole eccellenti (Gesù di Zeffirelli, The Passion di Mel Gibson). Tre ore ininterrotte di dialoghi e monologhi, da sentire, da “guardare” e da vivere con il cuore prima ancora che con gli occhi. Una delle più belle tradizioni della nostra terra pontina, da custodire e tramandare con fierezza. Con …Passione.