Vittima di gravi problemi familiari e finanziari, costretto a chiudere il suo bar a seguito di una procedura esecutiva attivata dalla banca che gli aveva concesso il mutuo, un commerciante di Gaeta ha dovuto lottare tredici anni con il Fisco, che reclamava maggiori somme alla luce degli studi di settore. Troppo poco, secondo l’Agenzia delle entrate, quanto dichiarato per il 1995 dal pontino, troppo distante dagli standard. Sconfitto nei due gradi di giudizio tributario, il Fisco ha portato avanti il contenzioso fino in Cassazione, che ha ora rigettato il ricorso e accertato definitivamente le ragioni dell’ormai ex barista.
L’Agenzia delle Entrate ha invitato per la prima volta il pontino a fornire spiegazioni sui suoi affari nel 2000. Il barista, che due anni dopo è stato costretto a chiudere l’attività, non ha risposto, è partito l’accertamento e il caso è finito davanti alla commissione tributaria provinciale. Era il 2005 e i giudici tributari annullarono l’accertamento, avallando la tesi del ricorrente che quanto dichiarato si discostava dagli studi di settore alla luce della crisi finanziaria familiare in cui era immerso. Il barista riferì di essere impegnato a far seguire un percorso riabilitativo a un figlio tossicodipendente, che la banca lo incalzava e non aveva più avuto modo di curare i suoi affari. L’Agenzia delle Entrate di Formia fece appello, ma la sentenza favorevole al contribuente venne confermata dalla commissione tributaria regionale. Il Fisco ha tentato la carta del ricorso in Cassazione, incassando la definitiva sconfitta.
“Il giudice tributario – hanno specificato gli ermellini nella sentenza – ha accertato il fatto che il contribuente versava, da anni, in una grave crisi personale, familiare e finanziaria, che lo avrebbe poi portato, nell’anno 2002, a cessare l’attività”.