
Il Barcellona aveva vinto da qualche giorno la Coppa dei Campioni contro la Sampdoria con una beffarda punizione di Ronald Koeman. Ero un manciniano e ci rimasi male come se in campo a Londra ci fossi stato io. Erano anche i giorni che aspettavo i Campionati d’Europa di Svezia, quelli che poi, sovvertendo ogni pronostico, la straordinaria Danimarca di Vilfort avrebbe vinto contro la Germania. I miei sogni giravano intorno al pallone e giocavo anche discretamente (più avanti mi dissero di osservatori dell’Udinese venuti a vedermi) ma non c’era solo quello.
C’era la scuola e un’insegnante di lettere, toscana, che in ogni compito in classe, oltre le tracce consuete, ci proponeva di sviluppare un tema d’attualità a nostra scelta. Personalmente di quel periodo ricordo come cominciavo ad appassionarmi al processo democratico, e alle sue devianze. Ero rimasto attratto da quella voglia di giustizia che stava animando tantissimi, poi alcuni lo hanno chiamato giustizialismo, e che si diffondeva, favorita dalle televisioni e dai giornali, da Milano e dall’inchiesta Mani Pulite (i suicidi vennero dopo). Così mi ero sinceramente interessato alle elezioni del 5 e 6 aprile: al fenomeno dell’astensionismo, al calo di consensi nei confronti dei partiti storici di Governo, all’exploit della Lega Nord e, addirittura (per i miei genitori), attendevo con ansia l’elezione del nuovo presidente della Repubblica che poi fu Oscar Luigi Scalfaro (ero troppo giovane per l’insediamento di Cossiga ed ero emozionato all’idea che le Camere e i rappresentanti delle Regioni si riunissero insieme per scegliere il capo dello Stato Italiano). Quanti parallelismi guardando all’oggi.
Sapevo chi era Giovanni Falcone (onestamente più di Paolo Borsellino): visivamente lo avevo visto in televisione attaccato da Totò Cuffaro durante una trasmissione a reti unificate dedicata alla memoria di Libero Grassi (ricordo rimasi scioccato dal suo omicidio, abbandonato da tutti per aver denunciato una richiesta di estorsione). Inoltre, grazie a uno zio, mi era passato tra le mani “Cose di Cosa Nostra” di Marcelle Padovani. Così Falcone, nel mio immaginario di bambino di 13 anni e mezzo, era diventato l’eroe che aveva interrogato l’imprendibile boss dei due mondi “don Masino” Tommaso Buscetta, il giudice istruttore del maxiprocesso di Palermo. Fatti che capivo essere importanti ma di cui non avevo la consapevolezza per arrivare a comprenderne la portata, come del resto mi era impossibile cogliere il fenomeno mafia.
Quel pomeriggio di maggio ero seduto nel soggiorno quando un’edizione straordinaria del Tg, erano da un po’ passate le sei, fermò le trasmissioni dando la notizia dell’attentato a Capaci. E poi subito le immagini di quella strada fatta esplodere come in un cartone animato. Corsi in cucina a dirlo a miei genitori che, ricordo, ammutolirono. Non mi staccai dal video nemmeno per cenare. Fu una rapidissima sequenza: prima la conferma che tre agenti della scorta erano deceduti sul colpo, poi all’ospedale di Palermo morì la speranza che Giovanni si salvasse. Alle dieci di sera fu l’ora di Francesca.
Nei brevi cinquantasette giorni che portarono alla strage di via D’Amelio riuscii a intuire chi era Paolo Borsellino, a capire di più cosa fosse la mafia e quale il suo rapporto con la politica: “Due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. Credo fu allora, da bambino, di fronte a tutto quell’orrore, a quegli uomini e donne straziati dal tritolo, che feci la scelta che oggi è la regola che accompagna me e tanti altre persone comuni: quella, come disse Paolo, di sempre cercare e “sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza della contiguità e quindi della complicità”. Non ne ho avuto alcun vantaggio, anzi, ma tutti i giorni riesco a stendermi a letto da uomo libero con la coscienza serena.
ULTIMA INTERVISTA PAOLO BORSELLINO ALLA RAI
Paolo Borsellino – L’intervista nascosta video – DAL MINUTO 23