È stato presentato stamane, nella Chiesa di Sant’Oliva, a Cori, il libro “Mario Petrucci, un buttero di Maremma”, scritto dalla figlia Giovanna per rendere omaggio all’ultimo buttero cisternese in terra toscana.
Mario Petrucci, nato a Cisterna di Latina il 7 ottobre 1912, era figlio d’arte, nipote dei butteri Molinari, la famiglia della madre Gertrude, e figlio Francesco, massaro nell’azienda Graziosi nell’Agro Pontino, perciò imparò subito a domare i cavalli e ad affrontare i rischi di un mestiere durissimo, in cui bisognava cavarsela da soli, al più presto ed anche a spese della propria incolumità. Si narra che il mito di Mario Petrucci sia nato con il suo primo “infortunio sul lavoro”, quando a tre anni cadde dalla groppa di un asino che scalciava e scaraventato a terra si ruppe un braccio. A 13 anni, quando lavorava come buttero a mezza giornata, fu disarcionato da un indomabile puledro mentre lo montava e cadendo a terra sbatté la testa tramortito, ma tutto si risolse con un paio di giorni di riposo.
Dopo un periodo da “appressataro”, radunando a cavallo le vacche da mungere e conducendole entro la rimessa, quindicenne guadagnò il suo primo stipendio da vero buttero, dimostrano le sue capacità di abile domatore: in soli tre mesi trasformò il suo primo puledro da doma, Nobile, in un campione in sella al quale Mario vinse la prima corsa della sua vita. Nel ‘29, durante il trasferimento di una mandria da un’azienda ad un’altra, chiuso tra la recinzione ed un carro, venne caricato da un toro, che infilzò il cavallo sotto la pancia e prese lui sullo stivale, facendolo volare in aria e se per il cavallo non ci fu scampo, lui riuscì a salvarsi rifugiandosi sotto il carro.
Nel 1932 Mario cominciò a lavorare all’Opera Nazionale Combattenti, l’ente che si occupava della bonifica delle aree paludose e due anni dopo seguì lo zio Mariano Molinari che con una nutrita mandria di vacche e cavalli si trasferì nell’ex tenuta granducale di Alberese, nel grossetano, dove Mario continuò a lavorare come buttero, perfezionando le sue grandi capacità di domatore, istruttore e selezionare di cavalli.
Ma il pericolo era sempre in agguato, come quando uno stallone lo disarcionò, lo prese per un polpaccio e lo trascinò per terra e solo lo sfilarsi fortunoso dello stivale gli permise di uscirne vivo. Nel ’38 invece, durante un trasporto di manze in Albania, fu protagonista di un’altra avventura: giunto a Bari, prima dell’imbarco per Durazzo, durante lo scarico del bestiame dal treno, riuscì ad allacciare al volo per le corna con un cappio una manza, evitando che rovinasse in mare, tra la banchina del porto e la nave.
Nel 1942 sposò Alba Casarin e nacque la figlia Giovanna. Nel 1952 il fotografo Gori immortalò Petrucci mentre svolgeva il lavoro di buttero a cavallo in aperta campagna, un’immagine che fece il giro del mondo diventando l’icona dell’epopea dei butteri in Maremma. Petrucci inoltre non perdeva occasione per dimostrare la sue destrezza, come nel ‘47 a Verona quando salì e scese col cavallo tutti i gradini dell’Arena; oppure quando a Bari, in uno spettacolo serale, fece entusiasmare il pubblico ridendo mentre rimaneva incollato alla sella della sua cavalla Ortica che compiva vorticose evoluzioni.
Nel 1977 Mario andò in pensione ma non abbandonò la doma dei puledri, dedicandosi all’insegnamento del suo mestiere alle nuove generazioni di butteri ancora inesperti. Morì il 19 marzo 2005, all’età di 93 anni, e riposa nel piccolo cimitero di Val di Loreto ai piedi dei monti dell’Uccellina, vicino all’Alberese. Nonostante un fisico piuttosto minuto, Mario Petrucci è stato un grande buttero e tante sono le sue imprese ancora ricordate e tramandate nella maremma toscana. Tutt’oggi egli rappresenta il prestigio e l’abilità del buttero italiano nel mondo e costituisce la diretta prosecuzione delle tradizioni e della cultura del buttero cisternese trapiantato in terra toscana. La sua divisa, la sella e varie attrezzature da lavoro sono state donate alla sua amata Cisterna ed esposte nel Museo del Buttero a Palazzo Caetani.
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