Il messaggio del vescovo di Latina Giuseppe Petrocchi in occasione delle festività pasquali: “Cristo, nostra Pasqua (cfr. 1Cor 5,7), è risorto! Questo annuncio esultante, che la Chiesa fa risuonare con gioia incontenibile fino ai confini dello spazio e alle frontiere del tempo, ha la forza di cambiare “dalle fondamenta” la nostra vita. Basta accoglierlo e viverlo. Guardare le nostre vicende con gli occhi della fede significa cogliere in ognuna di esse la novità straordinaria che lo Spirito vi ha immesso: tutto, se vissuto in Lui, può essere trasformato in dono e diventare “occasione propizia”. Fare Pasqua, perciò, vuol dire cambiare dentro; e, se siamo trasformati nel cuore, cambia anche il modo in cui ci rapportiamo al mondo esterno. Le cose non restano più le stesse, anche se oggettivamente nulla sembra modificarsi: infatti, siamo cambiati noi. La Pasqua è tempo privilegiato del perdono: accolto, vissuto e offerto. Solo chi è stato perdonato, impara a perdonarsi e a perdonare. E l’esperienza della misericordia, ricevuta e data, è un evento di autentica libertà, che porta pace e gioia. Chi non sa perdonare, resta prigioniero dei sentimenti di avversione che cova dentro. Rimane al buio e respira amarezza. Si priva così della luce e della forza che gli consentono di cogliere e valorizzare le grazie che Dio semina in ogni giornata. Facciamo un esempio: mettiamo che una persona sia tormentata dal rancore, suscitato da un torto subìto. Ciò attiva un cocente rammarico e una conseguente volontà di rappresaglia, che provocano una ruminazione incessante. Ciò induce il soggetto a rievocare, con rabbia, le ingiustizie che gli sono state inferte, anche se lontane negli anni, alimentando emozioni di contrarietà e di ritorsione. Lo scorrere del tempo, da solo, non costituisce un farmaco per il rancore, anzi, spesso lo aumenta. Chi è assalito dall’astio si porta dentro una oscurità tumultuosa, che lo inquina spiritualmente e psicologicamente, spingendolo a vivere male le situazioni problematiche che cadenzano la sua esistenza: specie quelle che “rievocano” le bruciature che lo hanno marcato. Inoltre, non riesce a vedere e ad afferrare con prontezza il positivo con cui viene a contatto, mentre resta impantanato nel negativo, che esagera e trasmette. Il rapporto con se stesso e le relazioni con gli altri sono gravemente condizionate da questo livore, che interferisce sul suo pensiero, sugli affetti e sulle azioni che compie. L’unica medicina che consente di cicatrizzare e guarire queste “piaghe” è la grazia che scaturisce dal fianco squarciato di Cristo. Morendo con Lui, infatti, uccidiamo la morte che ci viene dal male e risorgiamo, nel Suo Spirito, alla vita buona secondo il Vangelo. Fare Pasqua significa apprendere, alla scuola del Crocifisso-Risorto, l’arte del perdono. Certo, è difficile chiedere perdono quando si ha torto, ma è ancora più difficile dare il perdono quando si ha ragione. In questo caso, il motivo convincente che ci porta a perdonare e a perdonarci è la certezza che siamo stati perdonati. Sì, perdonati da Dio, in una misura infinita. Perciò non abbiamo scuse per negare il perdono. Se il nostro debito sconfinato verso Dio ci viene rimesso, come giustificare il rifiuto di condonare i torti, molto limitati, che abbiamo ricevuto? La preghiera del Padre nostro, che recitiamo ogni giorno, ci ricorda che i veri cristiani si fanno perdonare (da Dio e dagli uomini), perché sanno perdonare. E il Vangelo ci ammonisce che avremo nella misura in cui daremo (cfr. Lc 6,38): se di perdono saremo stati avari, poco riceveremo; se ne avremo elargito tanto, molto ne otterremo; se lo avremo concesso per intero, tutto ci sarà rimesso. Ci è stato rivelato che ogni interazione umana non rimane chiusa in un orizzonte solo creaturale, ma chiama in campo sempre l’Onnipotente. Nella economia della salvezza, infatti, ogni nostro gesto di amore, per quanto piccolo, riceve sempre una ricompensa divina (che è infinita ed eterna): il cambio, perciò, ci è immensamente favorevole! Ma pure ogni “no” che diciamo al fratello, diventerà motivo di condanna: adesso e nel giudizio finale (cfr. Mt 25, 31-46). Allora, poiché gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente diamo (cfr. Mt 10,8), senza mai affermare: “purtroppo, mi tocca perdonare”; ma dicendo, invece: “beato me, perché posso perdonare”. In questa prospettiva, si capisce perché Il perdono – chiesto, ricevuto e dato – non deve essere rinviato: la logica dello scivolamento in avanti non paga. Il tempo della grazia è l’“oggi”: il perdono, perciò, va deciso subito. È così che, da una sconfitta, si ricava una vittoria e da un danno un grande guadagno. Nel perdono la memoria non è cancellata, ma purificata. Il ricordo “doloroso” viene mantenuto con chiarezza, ma depurato dalle cattive incrostazioni emotive: non vi attecchiscono più le spore nocive del risentimento e dell’ostilità, perché su di esso si è posata la luce sanante dello Spirito del Risorto. Perdonare non è lasciar correre e neppure adattamento rassegnato alla sconfitta; è, invece, impegno deciso per la giustizia e per il bene. Esige, pertanto, la volontà perseverante di correggere gli sbagli e risolvere al meglio i conflitti (dentro e fuori di sé), ricorrendo alla forza evangelica della carità ed evitando stili aggressivi o escludenti. Perdonare, perciò, significa versare un sovrappiù di amore proprio là dove esso è stato negato, sottratto o tradito: è così che, dove prevaleva l’ombra dell’errore, si accende la luce della verità che libera. È importante ricordarsi che il perdono di Dio, scaturito dalla Pasqua di Gesù, ci è dato nella Chiesa, attraverso il sacramento della penitenza. Una buona confessione ci riconcilia con il Signore, con noi stessi e con gli altri: perciò, spalanca strade belle e nuove nella nostra storia. Il perdono, inoltre, rappresenta un potente “ricostituente” per la vita comunitaria, poiché rigenera o rafforza rapporti interpersonali costruttivi e sereni. È noto che la misericordia apre alla comunione fraterna (cfr. Ef 4,32) e la comunione fraterna, a sua volta, alimenta l’esperienza del perdono, dilatandola, con ampiezza crescente, fino ad abbracciare il mondo. Infine, il perdono, domandato ed ottenuto dal Signore, richiede, per essere autentico, il sigillo della conversione (cfr. Gv 8,11), che lo precede, lo accompagna e lo porta a maturazione. Poggia, di conseguenza, sulla scelta di affrancarsi da ogni assuefazione alla mediocrità: la conversione infatti, se animata dal Vangelo, inaugura sempre una rinnovata tensione verso la santità. Auguro a tutti che il nostro cuore diventi una “casa” accogliente, abitata dal perdono: perdono che è dato, perché ricevuto; ed è ricevuto, perché dato. “Casa” aperta e ospitale, dalla quale nessuno è escluso, anche se avesse peccato contro di noi settanta volte sette (cfr. Mt 18,21). La misericordia, infatti, non conosce misura, poiché sta scritto: «come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,13). Aprendoci all’Amore che vince ogni egoismo, sulla nostra storia scenderà la benedizione riservata ai misericordiosi (cfr. Mt 5,7) e agli operatori di pace (cfr. Mt 5,9). E anche noi – come la Vergine Maria, Donna della Risurrezione – diventeremo “specchi vivi” che riflettono, sulla terra in cui viviamo, il Cielo terso e luminoso della Pasqua”.
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