Armando Di Silvio tenta il suicidio in carcere. Dagli affari della “mafia rom” alle manette, l’ombra di un vuoto di potere

Un risvolto drammatico e imprevisto quello riportato dal quotidiano “Il Messaggero” che nella sua foliazione locale riporta la notizia del tentato suicidio in carcere di colui che è considerato il “boss” del sodalizio criminale di stampo mafioso messo in piedi dal clan Di Silvio. Avrebbe cercato di impiccarsi con le lenzuola della sua cella Armando Di Silvio, detto “Lallà”, che ora sarebbe in isolamento. Da quanto riportato nell’articolo, a firma di Marco Cusumano, non avrebbe riportato conseguenze fisiche dal suo gesto.

Il sistema criminale di cui è indicato come leader vede estorsioni e spaccio di droga tra i reati più gravi contestati a lui e ad altri venti tra parenti e conniventi di questa prassi criminale sulla quale ha acceso un faro l’operazione congiunta della Dda di Roma, portata a termine sul campo dagli uomini delle Squadre Mobili di Latina e Roma e dello Sco. “Alba Pontina” ha gettato luce su questo ed altri fatti, come pure è stata importante per svelare il rapporto di forze esistente tra il sistema criminale posto in essere dal clan e altri gruppi criminali di stanza a Roma, in Campania e in altre regioni italiane, oltre che, addirittura, il rapporto con criminalità internazionale come la mala albanese.


Un rapporto contrastato, fatto di affari finiti male per le altre entità criminali che spesse volte sarebbero state “truffate” dal clan Di Silvio. Lo ha spiegato chiaramente Carmine Mosca, dirigente della Squadra Mobile di Latina che ha rivelato come “spesso i Di Silvio si impossessavano di partite di droga presso altre formazioni criminali senza poi pagarle, cosa che dà la misura dell’egemonia del clan Di Silvio sul territorio dove si sentivano al sicuro anche da ritorsioni di altri sistemi mafiosi che pure meritavano rispetto vista la loro solita aggressività”. Non si sa nulla sulle motivazioni del gesto di “Lallà”, considerato ai vertici del sodalizio criminale in questione. Anche perché, oltre che per negare quasi tutte le circostanze, gli interrogatori per il momento non hanno portato a novità rilevanti rispetto quanto già rivelato dal super pentito della famiglia Renato Pugliese, figlio di un altro esponente di spicco della famiglia, Costantino Di Silvio, detto “Cha Cha”, attualmente detenuto per altri fatti.

E’ stato lui, Renato, con le sue deposizioni a decapitare il clan e a indicare il punto da colpire alla Dda di Roma. Lui a rivelare i segreti intrecci delle famiglie e i singoli ruoli di ufficiali e soldati dell’esercito familiare messo in piedi dal clan che da generazioni è sempre stato associato a fatti di violenza. Una violenza che quasi un decennio fa stava sfociando in una guerra tutta interna alle varie famiglie di origine sinti e che proprio “Lallà” avrebbe stoppato sul nascere di una spirale di vendette che aveva portato anche a sparatorie e regolamenti di conti finiti anche nel sangue.

Così, con la prudenza da una parte e il potere intimidatorio, coadiuvato anche dalla tacita connivenza di alcuni al di fuori del sistema che “Lallà” avrebbe finito con estendere l’influenza del sodalizio criminale fino a giungere alla quasi totale egemonia nei confronti delle altre famiglie dal fronte interno e delle altre entità criminali dall’esterno. E ora quel potere, laddove le accuse dovessero reggere agli esami degli inquirenti e delle difese, è stato decapitato. Quel che resta sono i componenti di una ancora vasta famiglia senza una guida, con possibili vendette trasversali da tutti i fronti. Si apre il problema di un’enorme vuoto di potere sul campo criminale del capoluogo.

E chissà che non ci sia questo, oltre la disperazione per le pesanti accuse che gli sono rivolte, o magari la convinzione di essere innocente (lo sono tutti fino a prova contraria), a spingere Lallà sulla strada del suicidio. La paura di quel che potrebbe succedere dopo la drammatica resa dei conti tra la Giustizia e la Criminalità con il suo corollario di pentiti, di accuse di mafie, di violenza. Al momento si sa solo che come tutti gli altri indagati il presunto boss resta dietro le sbarre, nel suo caso in isolamento per aver cercato di impiccarsi con le lenzuola del carcere nella notte.