Operazioni spericolate, Banca Etruria condannata dal Tribunale di Latina

Mentre i risparmiatori di mezza Italia si affannano nel tentativo di recuperare almeno parte del denaro perso con il crac di Banca Etruria, dando battaglia nei procedimenti penali in corso a carico dei vertici dell’istituto di credito aretino posto in liquidazione coatta amministrativa nel 2015, a Latina, ricorrendo a una causa civile, c’è chi è riuscito a recuperare i soldi investiti in quell’istituto di credito, facendo calare ulteriori ombre su come gli organi di garanzia abbiano gestito la vicenda prima del definitivo collasso della banca. Somme recuperate nonostante la vecchia Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, dopo il cosiddetto decreto salva-banche, sia finita in una bad company e a prenderne il posto sia arrivata la Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio. Proprio quest’ultima infatti è stata alla fine chiamata a rispondere in Tribunale dei problemi del vecchio istituto di credito ed è stata infine condannata dal giudice civile Giambattista Biava a risarcire all’avvocato Luigi D’Aniello 8.250 euro investiti in azioni, con tanto di interessi, dichiarando la risoluzione del contratto per l’acquisto dei titoli a causa di “inadempienze e responsabilità” della banca.

Ben prima che venisse posta in liquidazione Banca Etruria, l’avvocato D’Aniello, che aveva un conto corrente nella sede di quell’istituto a Latina e che nel 2008 aveva acquistato azioni della banca, aveva intuito che più di qualcosa non andava bene. Ricevuti i primi documenti sull’investimento fatto, il legale aveva infatti notato che quei titoli venivano indicati come “a rischiosità alta”. Precisando di non aver minimamente avuto tale informazione al momento dell’acquisto, caldeggiato dall’istituto di credito specificando che avrebbe portato diversi vantaggi al cliente, l’avvocato aveva così chiesto subito alla banca la risoluzione del contratto. Ma invano.


Ogni tentativo di soluzione bonaria della vicenda è risultato vano ed è caduto nel vuoto anche un esposto fatto dal legale a Bankitalia, in cui specificava che appariva anomalo l’azzeramento di azioni di un istituto di credito italiano. In pratica l’ennesimo campanello d’allarme per Palazzo Koch, che dopo il crac sosterrà invece sostanzialmente di non aver avuto informazioni su sofferenze di Banca Etruria e che quando aveva rilevato i primi problemi era intervenuto.

D’Aniello nel 2012 ha così imboccato la strada del contenzioso civile, chiedendo al Tribunale di Latina di disporre la risoluzione del contratto e la restituzione della somma che aveva investito. Una richiesta accolta dal giudice Biava, che l’ha indicata come “fondata e meritevole di accoglimento”.

Banca Etruria, secondo il Tribunale, è “incorsa in un grave inadempimento, per non aver correttamente informato il cliente dei rischi connessi e derivanti dall’operazione finanziaria” compiuta.

Quanto era stato rappresentato all’avvocato D’Aniello, confermato da responsabili dell’istituto di credito nel corso del giudizio, sarebbe inoltre stato “a dir poco suggestivo e pressante” e l’investitore, non appena avute le prime notizie sulla rischiosità delle azioni, aveva subito contestato l’operato della banca.

Un contenzioso avviato sei anni fa, tre anni prima del crac, e con una modalità che se seguita da altre vittime del crollo dell’istituto di credito avrebbe forse potuto consentire loro di recuperare i risparmi di una vita andati in fumo.