Mozione di sfiducia al sindaco di Itri

L'ingresso del Comune di Itri

Mozione di sfiducia nei confronti del sindaco di Itri, Giuseppe De Santis. A chiederla sono stati quattro consiglieri dell’attuale opposizione, Andrea Di Biase, Pietro Di Mascolo, Elena Palazzo e Mario Petrillo, espressione, il primo, di FI e gli altri due eletti nell’UDC. La Palazzo, come si ricorderà, era stata eletta nella lista eterogenea “Patto per Itri e per De Santis sindaco”e aveva ricoperto anche l’incarico di assessore alle attività produttive, salvo poi a dimettersi il 16 aprile 2014 per divergenze con la linea amministrativa che, per lei, non rispecchiava più il protocollo di intesa che, nel maggio 2011, aveva visto scendere in campo una coalizione, risultata vincente, che abbracciava elementi la cui fede politica li collocava dal centrodestra alla sinistra estrema.

Il gesto di oggi, con l’istanza presentata al protocollo, rappresenta l’ennesimo atto di una escalation dialettica nel confronto tra quella che oggi è la “nuova” maggioranza, dovuta anche alle posizioni mutuate da molti consiglieri di entrambi gli schieramenti, e quanti invece sostengono che lo spirito operativo che era alla base della lista di coalizione del 2011 sia stato stravolto, dopo quella che definiscono una “sterzata tutta a sinistra della composita alleanza”.


E proprio a queste variazioni fa riferimento il testo allorchè recita “la frammentazione del quadro politico, rispecchiata dal frequente passaggio dei consiglieri comunali dalle fila della maggioranza all’opposizione, che testimonia la dissoluzione del vincolo fiduciario che aveva legato i consiglieri del “Patto per Itri futura” al sindaco De Santis al momento delle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011, è frutto della marcata eterogeneità politica della coalizione amministrativa”.

In conseguenza di questa confusione e a causa della mancanza di un programma operativo di fine legislatura, si legge nella parte finale della mozione, i quattro chiedono al sindaco di dimettersi. Entro trenta giorni il presidente dell’assise Umberto Papa deve perciò convocare il consiglio. E non sarà, c’è da crederci, una seduta soporifera.